La pornodipendenza: la dipendenza da materiale pornografico

In Psicologia Clinica by Centro PSY

Se i bambini possono essere turbati dai cosiddetti «misteri del sesso», adolescenti e adulti sono caratterizzati piuttosto dai «segreti del sesso». Uno di questi, gelosamente custodito da tanti adolescenti e da un numero crescente di adulti, è la dipendenza dalla pornografia. Un tempo relegata negli angoli bui delle edicole dei giornali e nelle proiezioni delle sale a luci rosse, oggi essa dilaga attraverso i canali della tecnologia digitale. Con lo smercio di Cd rom e DVD e mediante Internet è possibile collezionare un repertorio praticamente infinito di filmati, scene e foto pornografiche.

L’uso di Internet, tuttavia, non solo amplifica a dismisura la quantità del materiale fruibile, ma aggiunge alla moderna pornodipendenza altre due caratteristiche del tutto peculiari.

La prima è che al giorno d’oggi l’accesso diretto e privato dall’intimità della propria abitazione alla rete del mondo Web abbatte anche l’ultima barriera, quella del contatto col mondo reale (il negoziante) per l’acquisizione del materiale. Pertanto, l’antica vergogna sociale cede sempre di più il passo ad un mero disagio interiore, del tutto privato, facilmente aggirabile e superabile dalla coscienza personale, invasa dalla pulsione trasgressiva.

La seconda caratteristica è che, sempre attraverso Internet, il moderno fruitore di pornografia diviene consapevole dell’enorme massa di gente con la quale egli condivide la medesima «passione», e della dimensione sociale del fenomeno, che occupa praticamente tutti i mezzi di scambio e di comunicazione esistenti. Egli tuttavia, anziché essere spinto ad una seria riflessione sulla «società malata», finisce al contrario per sentirsi giustificato e legittimato nella sua dipendenza.

In tal modo, quello che un tempo era vissuto come un segreto personale, intimo e penoso, è oggi divenuto la vetrina eccitante ed abbagliante di un’immensa e lucrosa industria a cielo aperto.

Va segnalato che alla pornografia solitaria, conosciuta da sempre, va ormai aggiunta quella, oggigiorno sempre più diffusa, di carattere interattivo: ai call center telefonici si sono aggiunti le chat on-line e i porno siti con contatti virtuali in videotrasmissione (videochat). Questa pornografia interattiva va distinta dalla semplice prostituzione perché non contempla il passaggio all’atto, ossia il contatto reale dei corpi.

Il carattere interattivo della pornografia contemporanea (o almeno di una sua parte emergente) non deve però indurre l’illusione che essa sia, oggi, più «viva» e «reale» di ieri. Il tratto dominante della pornografia resta, oggi come ieri, l’offerta di un oggetto in luogo di una persona.

Questo «scambio» da persona a oggetto produce una particolare trasformazione dell’immaginario sessuale, il quale da funzione atta a mediare e indurre il contatto con la realtà diviene un sistema autarchico, solipsistico, che distanzia e sopprime il mondo reale e reclude l’individuo nella gabbia della sua isolata soggettività.

Il consumatore di materiale pornografico è perlopiù (ma non sempre) un maschio, la cui età quanto più è elevata tanto più definisce una patologia grave.

Per «patologia grave» intendo una patologia «strutturale», una patologia che ha inferto un danno permanente (ma non irreversibile!) alle funzionalità sane dell’io.

Il motivo di una diagnosi di gravità a carico del pornodipendente adulto è abbastanza ovvio.

Nella nostra società (come in molte altre) l’adolescente viene considerato sia dalla cultura religiosa che da quella laica un «immaturo», un individuo che deve essere messo in attesa per un tempo di apprendimento e di prova prima di poter beneficiare dei privilegi della vita adulta. Pertanto egli è inibito dall’avere percorsi efficaci nel mondo reale: egli è diffidato dal mondo sociale adulto dall’avere contatti o relazioni sessuali, è scoraggiato nei suoi bisogni di avventura esistenziale, ridicolizzato o osteggiato nel suo diritto alla critica, sia distruttiva che costruttiva.

La scoperta della sessualità gli offre – proprio quando ne ha più bisogno – uno spazio di fuga dalla sua intima esperienza di «impotenza esistenziale», che – stanti le vigenti proscrizioni e proibizioni in materia erotica – esita in senso solitario, solipsistico, dunque fantastico o virtuale.

Questa fase di «esilio» dal mondo reale, accompagnata dal «peccato solitario» (la fantasia, più o meno masturbatoria), essendo fisiologica alla concezione dell’adolescenza propria del mondo occidentale moderno, viene in genere compresa e tollerata, quand’anche essa provochi nell’adolescente infiniti turbamenti, dovuti ai poderosi conflitti di valori cui è sottoposto. Infatti, mentre da una parte egli è pressato dai valori religiosi tradizionali che gli impongono la castità anche nel pensiero, dall’altra egli è non meno oppresso dai moderni valori laici di stampo liberista (descritti nel mio libro «Crescere in un mondo malato», Franco Angeli, 2004), che gli propongono un regime di disinvolta e superficiale libertà.

Il conflitto psicologico che sortisce dallo scontro di questi modelli contraddittori è esplosivo come mai in passato, perché in un caso l’adolescente è inibito dalla paura del peccato e della colpa, nell’altro dall’angoscia di dimostrarsi debole e di non essere all’altezza.

Nondimeno, nonostante l’ampia estensione del disagio psicologico giovanile, l’autoreclusione nella fantasia sessuale solitaria, dovuta ai conflitti interni, è considerata nell’adolescenza una fase «normale», e con ciò tollerata. In effetti, perlopiù si risolve, sia pure al prezzo di notevoli sofferenze.

Per contro, nell’adulto il fenomeno della pornodipendenza assume un rilievo del tutto particolare.

In genere, nell’uomo adulto la pornodipendenza cresce a misura di un penoso sentimento di prigionia psicologica e sociale, che può derivare sia da costrizioni perfezionistiche (l’uomo virtuoso, laborioso o comunque condannato al guadagno e al successo) che da penuria socio-economica. Prigioniero delle sue caratteristiche psicologiche (un carattere ansioso, ossessivo, perfezionistico…) o sociali (un lavoro opprimente, una condizione socioeconomica umiliante…) l’individuo cerca con angoscia e con rabbia una possibile «via d’uscita». A questo punto, colui che soffre per la mancata realizzazione di sé, può identificare nell’offerta pornografica un orizzonte di libertà illimitata, una insperata restaurazione del suo perduto potere sulla vita.

Alla fine del percorso, tuttavia, l’uomo che credeva di aver trovato una magica e insperata libertà scopre di esserne prigioniero. Identifica, allora, in questa nuova prigionia il suo dramma fondamentale fino a dimenticare i problemi che erano nella sua personalità di base.

Sicché, da una alienazione di primo grado (rappresentata dal carattere psicologico ossessivo o dalla situazione sociale negativa) perviene ad una alienazione di secondo grado (la pornodipendenza) nella quale la prima alienazione è dimenticata, e con essa un possibile avvio di soluzione del problema generale.

Nel caso dell’adulto, dunque, la diagnosi non può che essere di gravità perché la pornomania coincide con un’illusione inconsapevole, la quale genera non solo e non tanto il tormento del senso di colpa, quanto soprattutto l’oblio della propria personale e innata aspirazione alla realizzazione identitaria, reiterando l’insoddisfazione e rendendola così compulsiva e sostanzialmente tossicomanica.

La dipendenza da materiale pornografico è dunque una patologia ossessivo-compulsiva che deriva dal bisogno del soggetto di evitare i rischi della vita adulta segregandosi in un mondo di fantasie.

Di fatto, la pornodipendenza porta alla sostituzione pressoché totale della normale vita amorosa con tecnologie atte a indurre fantasie sessuali stereotipate. In queste fantasie, il pornodipendente esaurisce non solo le sue esigenze sessuali e amorose ma lo stesso rapporto col mondo, l’interesse verso il quale si riduce alla ricerca compulsiva di sempre nuovo materiale. La pornodipendenza è dunque una schiavitù edonica, nella quale il soggetto esaurisce per intero la sua libertà.

Trattandosi di una dipendenza compulsiva, sotto la quale scorre un rischio depressivo talvolta grave (dovuto a sensi di colpa o, sempre più spesso, ad una sensazione di evanescenza e di futilità), la pornodipendenza deve essere trattata con la psicoterapia. Nella mia esperienza professionale di psicoterapeuta ho constatato un’elevata percentuale di guarigioni attraverso la semplice psicoterapia.

Molto utili di solito sono anche i gruppi di mutuo aiuto – da evitarsi tuttavia nel casi di grave e intollerabile vergogna sociale – all’interno dei quali è possibile confessare la propria anomalia stemperando i sensi di colpa e la vergogna da cui tale patologia è spesso accompagnata.

Fonte: Psicoterapia.it
Autore: Nicola Ghezzani

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