La disabilità e l’inserimento lavorativo

In Psicologia Clinica, Psicologia del Lavoro by Centro PSY

Il concetto di diversa abilità usato al posto del termine disabilità è una delle proposte che vengono ultimamente fatte e che rappresentano, in un certo senso, un tentativo di integrazione e di epurazione della negatività del termine disabile.

All’interno di questo articolo verrà analizzato tale termine e gli aspetti ad esso relativi, prima di fare ciò però vogliamo dare una visione della disabilità.

Per una visione delle persone disabili abbiamo tenuto in considerazione il testo di Davide Cervellin (2003), che intende, attraverso una disamina delle varie forme di disabilità, dare una risposta su come trasformare i limiti inerenti tale situazione in un’opportunità.
Cervellin sottolinea come le nuove tecnologie possono rappresentare per le persone con disabilità una prospettiva nuova ed una svolta grazie alla quale abbiano la possibilità di riuscire ad integrarsi, ad essere e sentirsi autonome e in alcuni casi anche a migliorare la vita dei cosiddetti “normali”.

L’autore distingue cinque categorie di disabilità: la disabilità sensoriale; la disabilità motoria; la disabilità della comunicazione; la disabilità intellettiva o simbolico – relazionale; ed infine, la pluridisabilità.
All’interno delle disabilità sensoriali Cervellin, inserisce gli ipovedenti, i ciechi, i sordi e gli ipoacustici.
Per quanto riguarda le disabilità motorie vengono incluse quelle persone che hanno compromesso l’uso degli arti.
Nelle disabilità della comunicazione vengono comprese quelle persone che mancano nell’uso della parola.
Per disabilità intellettiva o simbolico relazionale, Cervellin intende quegli individui con deficit cognitivi o comportamentali.
Infine, la categoria di persone che sommano in sé più di una menomazioni o dei deficit descritti, rientrano nella categoria delle pluridisabilità.

Vengono affrontate poi le problematiche relative alla famiglia, alla scuola, alle aziende e alla Pubblica amministrazione.
Degli aspetti appena descritti, in questa sezione, noi non ci occuperemo della famiglia e della Pubblica amministrazione, mentre per ciò che riguarda la scuola recentemente il M.I.U.R. (2003) ha pubblicato un opuscolo di carattere divulgativo, che intende dare una visione d’insieme della riforma scolastica, approvata di recente con la legge delega del 28 marzo 2003, n° 53.

Alla voce handicap si legge la seguente affermazione:
“La legge n. 53/2003 garantisce attraverso adeguati interventi, l’integrazione delle persone in situazioni di handicap a norma della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Vengono quindi tutelati il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata, tramite la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società”.

In campo scolastico la legge n. 104 prevede “provvedimenti che rendano effettivi il diritto all’informazione e il diritto allo studio della persona handicappata, con particolare riferimento alle dotazioni didattiche e tecniche, ai programmi, a linguaggi specializzati, alle prove di valutazione e alla disponibilità di personale qualificato, docente e non docente. Il diritto all’istruzione e alla formazione professionale dei disabili si qualifica, dunque, come il diritto alla frequenza delle scuole in una situazione di piena integrazione, a cominciare da quella dell’infanzia, al sostegno di insegnanti specializzati e alla disponibilità di servizi medico – specialistici e assistenziali”.
Da tale definizione si può riscontrare come anche le ultime norme in materia non si discostino dalla già citata legge n° 104.

Un aspetto a nostro avviso saliente della visione di Cervellin è quella inerente le aziende, che l’autore usa come nuovo interlocutore rispetto a quelli che di solito si occupano di queste persone.
Cervellin (2003) infatti afferma:
“Le aziende hanno un ruolo determinante nella normalizzazione delle persone disabili in ragione del fatto che o forniscono prodotti, tecnologie e realizzano servizi per la loro qualità della vita offrendo l’occasione autentica per farli sentire consumatori alla stregua di tutti gli altri o li assumono come lavoratori valorizzando le loro competenze, finalizzando le loro abilità, facendoli sentire attraverso il lavoro soggetti sociali rilevanti.”

A parere dell’autore però tali prospettive non dovrebbero realizzarsi tramite l’imposizione da parte di norme come le leggi n. 482 del 1968 e n. 68 del 1999, che impongono alle aziende un numero di lavoratori disabili, “alla stregua di una tassa e quasi mai come un’opportunità o una risorsa.”
Un disabile, infatti, potrebbe rappresentare una risorsa anche solo come consumatore, basti pensare al fatto che queste persone hanno bisogno per le loro necessità quotidiane di mangiare, spostarsi, lavorare, dormire, lavarsi e che per far ciò necessitano di strumenti e attrezzature particolari.
Molte di queste attrezzature o non esistono oppure, di solito, vengono fornite dalla struttura nazionale sanitaria oppure costringono queste persone a dipendere dall’estero per una grossa fetta del mercato economico di questa tipologia di prodotti.

A parere di Cervellin, quindi, aziende che investissero risorse in questo settore, potrebbero incrementare i loro utili.
Cita a questo proposito il caso di Heidelberg, una città in Germania in cui si è formato un distretto delle biotecnologie, oppure tra San Josè e San Francisco in California dove decine e decine di imprese operano nel settore dell’high – tech.
In Italia un piccolo embrione di questa tipologia di comparto di imprese si può trovare in provincia di Padova e dintorni.

L’autore quindi conclude questo aspetto scrivendo che a suo parere:
“andrebbe costruito un percorso di formazione o riqualificazione che renda spendibili non i deficit, ma le abilità che certamente si ritrovano anche nei disabili”.
Inoltre sottolinea come sarebbe corretto aiutare le imprese di qualunque dimensione a superare le diffidenze verso queste persone, e come sarebbe giusto creare delle agenzie che spieghino alle aziende come adattare i posti di lavoro alle esigenze di un lavoratore disabile, ed infine come dovrebbero essere modificate le politiche inerenti l’approccio risarcitorio.

Secondo Cervellin, prima di tutti i problemi dovuti alla disattenzione, insensibilità ed altri, la monetizzazione dell’handicap rappresenta il primo ostacolo:
“è la paura di perdere la pensione che determina la scelta di molti disabili, anche giovani, di restare chiusi in casa e vivere la marginalizzazione sociale, piuttosto che mettersi in gioco e conquistare un ruolo attivo attraverso il lavoro.”

Per una visione più dettagliata, riguardo all’inserimento della persona handicappata (ricordiamo che esiste una distinzione tra handicap e disabilità, ma in questa sede verranno usati come sinonimi così come fatto dall’autore preso in considerazione) nel mondo lavorativo, vorremmo riassumere gli aspetti presi in considerazione da Mario Di Pietro (1997).
Quest’ultimo sottolinea come esistono due tipologie di fattori che influenzano la riuscita dell’inserimento lavorativo di una persona con disabilità.

La prima di queste due tipologie riguarda i fattori inerenti il soggetto riassumibili con: la gravità dell’handicap; la storia passata del soggetto ed esperienze precedenti, quindi per esempio se ha accumulato una serie di inserimenti falliti potrebbe portare il disabile ad avere un atteggiamento emotivo sfavorevole; infine, le aspettative dell’handicappato, che per esempio potrebbe aspettarsi in seguito al suo comportamento produttivo il riconoscimento da parte dei capi e che invece non ricevendo nessun riconoscimento porterebbe il soggetto a manifestare un comportamento di sfiducia.

La seconda tipologia di fattori riguarda quelli inerenti l’azienda ed essi possono così essere sintetizzati: le caratteristiche dell’ambiente fisico dell’azienda, detto diversamente riguarda il problema delle barriere architettoniche, che a parere di Di Pietro in alcune aziende sarebbero talvolta appositamente mantenute per liberarsi di un lavoratore “scomodo” e per spiegare ciò cita il caso di un tecnico privo delle gambe al quale la direzione aveva proibito di usare l’ascensore merci, che tra l’altro era l’unico mezzo per raggiungere il reparto situato al secondo piano, adducendo tale motivazione al rispetto delle norme di sicurezza; le caratteristiche del ciclo produttivo, nel quale in alcuni casi risulta impossibile l’inserimento di un soggetto con handicap; il tipo di tecnologie, in quanto a seconda del tipo di tecnologie al disabile può risultare difficile il loro utilizzo e di conseguenza il soggetto viene relegato a mansioni di second’ordine, anche se come già accennato, Cervellin (2003) non è di questo avviso suggerendo come alcune tecnologie, soprattutto quelle legate all’informatica abbiano sopperito a tale problema; la disponibilità della direzione del personale, in quanto potrebbero essere attuate strategie non corrette per allontanare il lavoratore disabile come per esempio l’istituzione di reparti – ghetto; la sensibilizzazione del consiglio di fabbrica; l’accettazione da parte dei compagni di lavoro; la possibilità di un addestramento efficace, in alcuni casi risulta indispensabile un’azione di counseling da parte dello psicologo dell’azienda che deciderà le strategie di addestramento più efficaci.

Per meglio esplicare tale tematica, vorremmo riportare una delle nuove tecnologie attualmente in studio, che attraverso opportune sequenze di punti o trattini, ed una speciale tastiera brevettata presso il dipartimento di Bioingegneria del Politecnico di Milano riesce a trasformare i suoni emessi dalle corde vocali nel passaggio dei flussi d’aria in lettere e input. Tale sistema chiamato Whisper permetterà certamente di ampliare le possibilità lavorative, per le persone con disabilità.

Whisper è attualmente in fase di sperimentazione nell’ambito del progetto “Dis…Abilità”, una piattaforma accessibile hardware e software per la formazione di soggetti con disabilità, coordinato dal Laboratorio della Fondazione Politecnico di Milano e patrocinato dal Fondo Sociale Europeo.
Essa è una “tastiera a modulazione respiratoria”, pensata per migliorare e favorire le condizioni lavorative di soggetti disabili. Scrivere, fare calcoli, lavorare, usare il computer dunque non sarà più impossibile per chi ha problemi di movimento. Whisper, però rispetto ai dispositivi analoghi già esistenti, permette anche di fare di più, infatti, è adatto per misurare sia la durata del flusso di aria calda che viene emesso dal naso alla bocca durante l’espirazione, sia le variazioni di temperatura dell’aria che viene espirata o inspirata dal naso e dalla bocca, misurata tramite un particolare sensore chiamato termistore.
In definitiva, tale strumentazione darà la possibilità anche a soggetti con una grave compromissione motoria, di poter entrare a far parte del mondo del lavoro.

Come già sottolineato, quando si parla di diversamente abili, ci si imbatte in una miriade di diversificazioni che vanno dalla distinzione sociale alle caratteristiche individuali del soggetto.
Seguendo la classificazione fatta da Cantadori (2002) riguardo la definizione di handicap, abbiamo incontrato anche il concetto di “diversa abilità”.
L’autore, infatti, nella spiegazione del termine di handicap, individua due fattori: uno ambientale e l’altro individuale.

All’interno dei fattori individuali che identificano la condizione di handicap rientrano quelli descritti dal concetto di disabilità, il quale può essere suddiviso in varie tipologie che vanno dal termine disabilità a quello di diversa abilità.
Mentre il concetto di disabilità tende a descrivere una compromissione di funzioni atte a realizzare l’autonomia personale e sociale, con il concetto di inabilità si viene a descrivere una situazione vista come l’esecuzione qualitativamente differente. Come sostiene Cantadori:
“Questa seconda modalità è stata tradotta nella terminologia di disabilità come “diversa abilità”: è un gioco terminologico che ha la finalità di concedere valenze ugualmente positive al soggetto disabile, come a dire che chi non riesce a svolgere con adeguata competenza alcune mansioni, possiede però competenze ugualmente importanti in altri campi. E questo è senz’altro vero, basta riuscire a riconoscere e valorizzare questi altri settori.”

E’ importante precisare che in questa sede non si intende né enfatizzare né criticare tale termine, ma si vuole solo descrive ciò che questo termine significa e quale valore può avere anche nella considerazione di persone con “ritardo”.

Considerare un disabile, cioè una persona non abile nella traduzione del termine, come una persona con un’abilità, ma diversa può essere vista come una nuova prospettiva che attraverso l’epistemologia intende migliorare la visione di questa tipologia di persone.
E’ quindi chiaro che con tale termine si vogliono indicare in un certo senso le abilità residue e non quelle compromesse.
La questione che a nostro parere rimane senza risposta, è come poi individuare dal punto di vista terminologico, le compromissioni di tali individui.
Infatti, tale visione è una contrapposizione tra una visione sociale della diversa abilità e una visione medica della disabilità. La visione medica, appunto, si rivolge all’aspetto da curare, quella sociale a quegli aspetti che rappresentano l’integrazione.

Dal punto di vista clinico, quindi a nostro avviso tale termine non può subire molti cambiamenti. Ciò sul quale si può discutere è se parlando della persona disabile possiamo usare il termine di diversamente abile.
Considerare una persona diversamente abile non può essere certo criticato. Ciò che però si può contestare è l’operazione fatta, cioè la trasformazione della parola.

In effetti il termine che ad oggi può essere considerato nuovo, non ha ancora assunto nell’immaginario collettivo quella valenza negativa che avevano i termini precedenti.
Ciò non toglie che in futuro con l’utilizzo di tale termine per indicare tali persone esso non assuma la valenza negativa che hanno assunto altre parole come handicappato, disabile, menomato ed in precedenza storpio, idiota, imbecille e deficiente.
Per una strana alchimia una parola nata per sostituire la definizione precedente assume con il passare del tempo il significato negativo della precedente pur migliorando il modo di definire una situazione.
A titolo di esempio potremmo riportare la parola “compassione” che nella sua traduzione significa patire con, ma che nell’immaginario collettivo assume un significato dispregiativo per il compatito.

Ciò che quindi si vuole sostenere è che non è cambiando i termini che si cambia la visione negativa che i diversamente abili attirano verso di loro.
Quello che a nostro avviso potrebbe cambiare tale situazione è la consapevolezza collettiva che esistano persone diversamente abili.
E’ quindi a nostro avviso più efficace ed accettabile usare il termine di diversa abilità in quanto tale termine secondo noi descrive meglio la condizione di tali soggetti.

Una domanda a cui non sappiamo dare una risposta è se il concetto di diversa abilità sia applicabile in una situazione di handicap cognitivo.
Sostanzialmente come spiegato in precedenza un soggetto con un ritardo mentale è un soggetto con un deficit cognitivo generalizzato. Applicando la distinzione di Gardner(1983) di intelligenza però si può osservare come in alcuni casi tale deficit non sia proprio generalizzato. A nostro parere, comunque, parlare di diversa abilità in questi casi risulta forse un po’ azzardato.

L’aspetto che tuttavia risulta interessante di questa prospettiva è, come afferma Cantadori, quello di riconoscere e valorizzare i settori residui di ogni individuo.
A tal riguardo abbiamo osservato come un intervento adeguato e tecnologie sufficientemente evolute possano soddisfare l’obiettivo di raggiungere una buona qualità della vita, concetto utilizzato dall’OMS.

Per far ciò quindi si dovrà intervenire su tre aspetti: quello dell’autonomia personale; quello di una soddisfacente vita di relazione; infine quello dell’inserimento sociale.

Per quanto riguarda l’autonomia personale abbiamo affrontato le problematiche inerenti la disabilità e le possibilità di riacquisto delle abilità attraverso la valorizzazione delle capacità residue, in questo senso lo studio del potenziale umano di Gardner diventa una pedina fondamentale.
E’ nostro avviso, che lo studio dell’intelligenza, sia una parte della psicologia ancora tutta da scoprire, in attesa che la ricerca biologica spieghi il funzionamento complessivo del nostro cervello.
La valorizzazione di capacità residue, come detto, passa anche attraverso una diagnosi di tipo funzionale, fatta attraverso la cooperazione di più figure professionali, e quindi multidisciplinare.
Dall’individuazione di elementi, non più discriminanti, quali le diverse funzioni presenti in ogni individuo, all’individuazione di una nuova terminologia per definire le persone disabili in diversamente abili, si intravede un ruolo del soggetto stesso a cercare di mostrare le proprie competenze e capacità in una società nella quale essere conoscitori è sempre più importante.
Inoltre tale passaggio è anche caratterizzato dalle motivazioni dell’individuo e dall’accettazione di Sé nella condizione di ritardo. Solo attraverso tale accettazione l’individuo ritardato, potrà raggiungere una piena autonomia personale.

A tale accettazione, sicuramente contribuiscono anche coloro che si occupano di assistere e, quando ce ne sia bisogno curare, in quanto dall’elaborazione di una corretta procedura di intervento in modo professionale e scientifico, si può giungere al raggiungimento di una piena consapevolezza e accettazione di Sé.
Tale accettazione di Sé ha un elemento di sostegno anche in una soddisfacente vita di relazione, che oltre a fornire una base affettiva nella quale trovare supporto fornisce anche un maggior numero di occasioni di trovare persone disponibili ad aiutare.

Questi aspetti potrebbero essere inseriti, seguendo la visione di Howard Gardner, all’interno delle intelligenze personali. Quindi un intervento orientato al riacquisto o acquisizione di un senso del Sé adeguato, e l’instaurazione di rapporti soddisfacenti con gli altri, potrebbero rientrare fra gli elementi dell’intelligenza intrapersonale e interpersonale.

Infine, l’ultimo elemento per una vita di qualità, anche se non sempre di facile attuazione, è rappresentato dall’inserimento nella società come individui utili e produttivi.
Questo punto, come abbiamo visto, può essere superato attraverso due elementi, quello del superamento da parte della società del rifiuto verso questi individui, e quello dell’inserimento lavorativo.
La ricerca come abbiamo visto nel caso di Whisper sta lavorando in tale senso, è compito della società però far si che oltre alle scoperte scientifiche, siano elaborati nuovi valori sui quali fondare una società veramente civile.

Autore: Nicola Gentile
Fonte: gentile.altervista

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