Il disagio degli operatori nell’ambito sociosanitario

In Psicologia del Lavoro by Centro PSY

Oggi si parla molto di disagio professionale, di esaurimento emozionale nel mondo dei servizi sociosanitari. L’attuale crisi delle dinamiche lavorative pone in primo piano la problematica del burnout. Molte ricerche hanno mostrato che il burnout può avere effetti molto gravi sia sul piano fisico che su quello psicologico. Gli operatori sociosanitari (medici, psicologi, psicoterapeuti) sono una categoria professionale a rischio, perché continuamente a contatto con la sofferenza di persone da assistere. Essi possono entrare in una spirale di malessere globale che investe oltre l’ambito fisiologico, anche il piano psicologico e relazionale.

L’eccessiva speranza idealistica di poter aiutare tutti porta l’operatore a “donare” tutto se stesso, a superare i propri limiti fisici e psichici con grande investimento emotivo. Tra le varie interpretazioni date dai diversi autori, prevale il concetto di burnout come un processo nel quale un operatore, precedentemente dedito alla professione di aiuto, si disimpegna dal proprio lavoro in risposta allo stress legato alle continue richieste della propria utenza.

Non è possibile comprendere il fenomeno del burnout nelle sue molteplici manifestazioni senza guardare all’interdipendenza tra la dimensione “soggettiva” e una dimensione “oggettiva” che coinvolge la vita sociale. Il burnout è un fenomeno complesso in cui entrano in gioco fattori diversi, riferiti sia all’individuo che al suo ambiente e al rapporto che intercorre tra loro.

Il burnout va studiato nell’incontro fra i soggetti e il contesto lavorativo in cui il livello individuale e quello contestuale sono indissolubilmente legati.

L’ambiente di lavoro è spesso disfunzionale nel bloccare il processo evolutivo dell’individuo determinando nei soggetti coinvolti nel processo di aiuto, sentimenti di distacco nei confronti degli altri.

Certamente i modelli e i valori proposti dal contesto culturale e sociale in alcuni casi possono diventare fonti di disagio; come nel caso in cui valori, idee, modelli comportamentali del proprio gruppo di appartenenza non sono in sintonia con i propri valori e i propri bisogni individuali.

A tale proposito Nicola Ghezzani (2002) ad esempio, ha dato rilievo al concetto di appartenenza sociale. L’autore afferma che “il conflitto psicologico base di ogni senso di colpa, quindi di ogni possibile esito psicopatologico, esplode nel momento in cui il soggetto avverte che le sue esigenze di individuo sensibile e creativo vengono misconosciute, tradite dal sistema sociale di appartenenza (genitori, parenti, istituzioni ecc.) e dai valori ideologici ricavati dall’esterno e integrati nel proprio personale sistema morale”.

Spesso il contesto lavorativo crea una dipendenza patologica tale da obbligare la persona a subire passivamente regole rigide e costrittive. L’operatore avverte il proprio disagio particolarmente quando si stabilisce uno squilibrio tra le esigenze altrui e le proprie. Il soggetto particolarmente sensibile, finisce per accettare acriticamente valori e doveri interiorizzati del proprio sistema di appartenenza negando i propri bisogni più intimi.

In una situazione di lavoro in cui l’operatore sente di non poter realizzare le proprie aspettative sperimenta un sentimento di frustrazione. Egli temendo un crollo psicologico come reazione difensiva si ritira psicologicamente dal lavoro con gravi ripercussioni sulla prestazione lavorativa.

Il benessere dell’operatore (psicologo, psicoterapeuta) si può ritenere il presupposto necessario per curare gli altri. L’operatore che lavora nel campo del disagio psichico può andare incontro a crolli emotivi e sperimentare una sofferenza psicopatologica che si manifesta con la perdita di empatia, con una minore sensibilità nei confronti delle persone che hanno in terapia.

Il burnout viene sperimentato tra gli psicologi e psicoterapeuti come uno stress lavorativo che risulta dall’interazione sociale tra chi aiuta e chi è aiutato (Maslach, 1992).

Gli atteggiamenti di distacco e apatia nei rapporti interpersonali riflettono lo stato di malessere di chi aiuta, spesso nascosto sotto una falsa immagine di efficienza professionale.La malattia depressiva nel terapeuta rappresenta un rischio insidioso per la propria salute in quanto distrugge dall’interno la solidità dell’io. L’operatore che cade in uno stato depressivo manifesta pensieri pessimistici, giudizi negativi verso gli altri, reazioni comportamentali di tipo negativo verso se stessi, verso il lavoro e verso la vita in generale. La presenza di problemi depressivi come bisogno di soffrire, di fallire, di essere puniti rende incapaci di prendersi cura degli altri e fornire supporto emotivo.

La ricerca di Garman, Corrigan e Morris(2002), sottolinea come lo stress dell’intero gruppo degli operatori della salute influisca negativamente sulla percezione e sulla soddisfazione del trattamento da parte dei pazienti. Nello studio del burn-out è fondamentale individuare alcuni aspetti della personalità dell’individuo, come il proprio stile interpersonale, il metodo per gestire i problemi, l’espressione e il controllo delle emozioni, per scoprire condotte poco funzionali alle situazioni che si incontrano. Ha un notevole peso sul percorso assistenziale poter disporre di risorse e capacità professionali adeguate al proprio ruolo.

L’individuo colpito da “esaurimento emotivo”sceglie strategie evitanti sottraendosi alla vita comunitaria, alle discussioni e al confronto.

Per favorire il benessere personale e quello degli utenti risulterà vincente utilizzare nel lavoro strategie di “coping” positive. Un processo di “coping”efficace dovrebbe favorire la funzione adattiva proteggendo l’individuo da situazioni di disagio. Al contrario scegliere una modalità di coping di evitamento si rivelerà disadattiva nel determinare una diminuzione del senso di realizzazione personale.

Secondo Cherniss(1980) il burnout è una risposta di coping disadattiva dell’attore sociale ad uno stressor.Il processo si articola in tre fasi:
Percezione della situazione stessante: il soggetto sente un disagio che è causato dalla discrepanza tra risorse personali e richieste ambientali.
Emotività negativa: il soggetto sperimenta un disagio emotivo caratterizzato da tensione ed ansia.
Coping: il soggetto di fronte ad una situazione stressante evita il problema attraverso il disimpegno e il distacco emotivo.
Alcuni autori hanno indicato come la motivazione, l’autostima, il senso di controllo personale siano i migliori predittori del benessere psicologico complessivo, consentendo di poter mitigare le inevitabili frustrazioni che il contesto lavorativo comporta.

Gran parte del nostro benessere dipende dal modo di porsi nei confronti della realtà nella convinzione di poter padroneggiare emotivamente e fattivamente le diverse situazioni. Vi è un’ampia letteratura che conferma i successi di programmi di trattamenti basati sui principi dell’autoefficacia percepita nel correggere abitudini e condotte patologiche.

L’autoefficacia percepita coincide con il sentimento di efficacia personale che deriva dalla certezza di essere all’altezza di una determinata situazione. In ambito organizzativo, un alto senso di efficacia personale si associa ad una maggiore tolleranza dello stress. Invece ogni situazione nella quale si vede l’ombra di un fallimento, creerà ansia e comportamenti di difesa e di fuga.

Occorre focalizzare l’attenzione oltre che sul livello individuale anche su quello organizzativo poiché il fenomeno del burn-out risulta collegato sia a caratteristiche psicologiche individuali, sia a condizioni psicosociali riguardanti l’ambiente di lavoro e l’ambiente relazionale del gruppo di appartenenza.

Una forma di prevenzione molto efficace nel contrastare l’insorgenza del burnout è tener conto di variabili di tipo psicologico, relazionale ed emotivo all’interno delle attività di aiuto. Prevenire i fallimenti nel campo del lavoro sanitario vuol dire pianificare, analizzare in modo realistico le proprie potenzialità in un confronto attivo con gli altri.

L’aspetto relazionale tra i colleghi è un fattore fondamentale all’interno delle attività di aiuto. Lo sviluppo di un armonico clima relazionale è un fattore determinante per un significativo incremento della prestazione lavorativa. La prevenzione quindi del disagio degli operatori sociosanitari va vista in un’ottica relazionale individuando precocemente carenze sul piano individuale e organizzativo. Le strutture organizzative possono favorire l’insorgenza del burnout quando si creano conflitti di ruolo tra colleghi, con carichi di lavoro gestiti male, in un contesto lavorativo troppo rigido, che limita le possibilità di partecipazione e di decisione.

Essere attivamente coinvolti nelle decisioni, aumenta il senso di controllo delle persone e le rende più disponibili. Inoltre in un lavoro di gruppo in cui esiste coesione è più semplice superare disagi e difficoltà soggettive.

Per le professioni di aiuto è importante ricercare nuovi modelli d’intervento professionali. Un intervento fondamentale per prevenire il burn-out è puntare essenzialmente sulla formazione degli operatori. Favorire interventi educativi formativi risulta importante per l’acquisizione di competenze nella gestione dei rapporti con gli utenti. Ciò significa a mio parere dare importanza al controllo delle emozioni negative come ansia, paura, rabbia, ricordando che gran parte della sofferenza umana deriva dalle emozioni negative. Nel confronto con la malattia è necessario imparare a coltivare una “mente positiva” per favorire condotte funzionali alle varie situazioni lavorative. Un obiettivo quindi centrale è riuscire a contenere stati d’animo negativi attraverso un processo di elaborazione psicologica.

Bisogna tener conto del fatto che le emozioni hanno un ruolo centrale nella motivazione al lavoro, nella prestazione professionale e nelle relazioni con i colleghi e le persone da curare. Per riuscire a contenere ansie, angosce, paure e potenziare le emozioni positive va dato spazio a tecniche di apprendimento cognitivo-comportamentale come ad esempio bloccare il flusso dei pensieri negativi.

Goleman (1996) ci mostra come alcune terapie psichiche e comportamentali, in particolar modo, l’allenamento della mente attraverso le varie tecniche di meditazione, possono rimuovere le cause psicologiche e fisiche delle nostre peggiori pulsioni.

Nell’ambito del servizio pubblico, bisogna trovare strategie di prevenzione che focalizzano l’attenzione sull’integrazione tra esigenze lavorative e valorizzazione delle persone. Vanno pertanto privilegiate potenzialità e risorse dell’individuo spesso scarsamente considerate.

Nella prospettiva nuova delle neuroscienze, viene dato rilievo al fatto che larga parte del nostro potenziale umano rimane inespresso e non permette di liberare ciò che non è ancora emerso. Ha un carattere essenzialmente preventivo per gli operatori sociosanitari lavorare in armonia con i propri valori e capacità. Per ridurre il rischio di burnout è fondamentale migliorare la qualità della vita organizzativa, promuovendo il senso di comunità e di realizzazione personale.

In un percorso di consapevolezza l’operatore può riuscire a rafforzare la propria identità professionale, agendo con maggiore rispetto per la propria salute psicofisica nella conoscenza delle proprie potenzialità e dei propri limiti. Attraverso lo sviluppo di una cultura organizzativa sarebbe importante valorizzare quanto di positivo esiste nell’uomo dando rilievo ad un impegno di risorse emotive ed intellettive così da migliorare le condizioni di benessere individuale e sociale.

Fonte: Psicoterapia.it
Autore: Maria Rosaria Giuliano

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