Periodo prenatale, relazione madre-bambino e sviluppo psichico

In Psicologia Clinica, Psicologia Clinica Famiglia by Centro PSY

Per tanto tempo il mondo intrauterino è stato esplorato esclusivamente da un punto di vista medico, fondamentale per assicurarsi che il feto si sviluppasse in modo sano. L’attenzione è stata rivolta principalmente alle condizioni fisiche della madre e al suo stato di salute, tralasciando tutti quegli aspetti psicologici, sociali, emozionali che essa vive e che di conseguenza vengono avvertiti anche dal suo bambino. Per troppo tempo l’immagine che ci siamo fatti del nascituro corrispondeva ad un esserino che vive protetto dall’utero materno, che quasi come uno scrigno lo custodisce, isolandolo da ogni contatto col mondo esterno e consentendoli, quando le condizioni mediche di entrambi, madre e bambino, lo consentivano di vivere in uno stato quasi paradisiaco. Tale visione del mondo intrauterino ha cominciato a modificarsi a partire dallo sviluppo di strumenti e tecniche avanzate che hanno consentito di osservare come i feti mettono in atto una serie di attività fisiche e psichiche.

Inoltre dagli anni cinquanta numerosi sono stati gli studiosi che, mediante una collaborazione interdisciplinare che ha coinvolto campi differenti quali la ginecologia, la psichiatria, la psicologia, hanno cominciato a far luce sui processi di interazione madre- bambino in fase prenatale e su tutto un mondo che in realtà si è rivelato assolutamente ricco e dinamico.

Le ricerche hanno dimostrato come tutto ciò che la madre vive viene percepito anche dal feto; il bambino già nel corso della gestazione evidenzia una grande sensibilità unita ad un elevato livello di competenze psicofisiologiche e neuropsicologiche, inimmaginabili in passato.

Alla luce di ciò si può capire quanto possa influire e quanto sia fondamentale durante la gravidanza la relazione che si instaura tra la madre e il nascituro sul successivo sviluppo del temperamento e della salute psicofisica del bambino.

Partendo da queste basi, negli anni ’70 le ricerche riguardanti la vita intrauterina sono confluite in una nuova disciplina, la Psicologia Prenatale, che si è posta l’obiettivo di indagare, approfondire e consentire una scientificità a tutti gli studi che testimoniavano quanto fossero strettamente connessi i due mondi, pre e post-natale.

L’educazione prenatale ha una storia che fonda le sue radici ai tempi di Ippocrate, periodo in cui le gestanti venivano seguite con molta cura. Anche la cultura ebraica, ha sempre mostrato una grande sensibilità nei riguardi di questo periodo della vita; infatti notevole era l’attenzione che veniva rivolta ai comportamenti messi in atto dalla madre e dal futuro padre durante il periodo di gestazione. Comportamenti che dovevano consentire il rispetto del feto, per prepararsi adeguatamente alla sua nascita.

Ha dato un aspetto scientifico anche a tutte quelle credenze popolari circa la certezza di poter comunicare ed interagire con il nascituro; da secoli sono state tramandate dalla cultura popolare e dalla medicina orientale tradizioni riguardanti l’idea che il feto è in totale contatto con la realtà esterna.

Questa nuova disciplina si prefigge lo scopo di studiare, da un punto di vista psicologico, lo sviluppo e le capacità psicofisiologiche, comunicative, relazionali e psicologiche del feto, a partire dal presupposto che il feto è in grado di ricevere uno stimolo (intra ed extrauterino), elaborarlo (anche psicologicamente) e darne una risposta.

Partendo dalla consapevolezza, supportata da studi di tipo scientifico, che numerosi sono gli aspetti che giocano un ruolo determinante nella formazione della personalità del neonato, la psicologia prenatale vuole studiare come e in che modo si sviluppa la relazione madre-bambino; e per questo indaga le condizione ambientali interne ed esterne del bambino durante e dopo la gestazione. Uno degli interessi principali infatti concerne la vita di relazione del nascituro, nei suoi diversi aspetti, implicazioni e conseguenze.

L’uomo può essere considerato un essere socievole sin dai suoi albori, un essere in grado di entrare in comunicazione già in fase di sviluppo uterino con il fratello gemello, con la propria madre e con il proprio padre, ma anche con altre persone e con l’ambiente esterno.

Per questo l’attenzione cade particolarmente, oltre che sulla madre, anche sul padre e sull’interazione di coppia e dell’intera famiglia.

Chiaramente il primo ambiente con il quale il nascituro entra in contatto è l’utero materno, assolutamente ricco di stimoli di diversa natura che vengono avvertiti e percepiti dal feto dopo non molto dalle prime fasi di sviluppo.

Attraverso l’utero egli entra in contatto, mediante i suoi organi di senso, con l’ambiente materno e quindi con gli stessi stati emotivi e psicologici sperimentati dalla madre.

Il feto si sviluppa nel corso della gestazione facendo esperienza con tutto quello che è esterno al mondo uterino e per questo egli sente, apprende e memorizza tutto ciò che viene filtrato dall’esterno.

Il nascituro, dunque, può essere considerato un essere intelligente, capace di orientare l’attenzione, di percepire e discriminare gli stimoli, di ricordare e apprendere dall’esperienza.

Un essere socievole, in grado di entrare in comunicazione con l’ambiente esterno. Un essere dotato di una propria individualità fatta di caratteristiche e tendenze personali, di preferenze e bisogni specifici. Un essere capace di collegare l’esperienza affettiva con determinate esperienze sensoriali.

Sembra quindi che il feto sia una creatura che sente, che già apprende mentre è nell’utero e che è in grado di ricevere messaggi e persino di inviarne. E’ proprio nei nove mesi della gestazione che il nascituro riceve i primi condizionamenti e subisce i primi traumi che, se non eliminati, continueranno ad agire nel futuro producendo disagio e malessere. Questo perché di tutto ciò che egli percepisce nella vita uterina, resterà una traccia mnestica che verrà conservata per tutta la vita.

Le diverse conoscenze riguardo la psicologia prenatale hanno preso piede partendo da differenti constatazioni e da studi che continuamente vengono effettuati sul feto.
E’ stato determinante lo sviluppo di tecniche specifiche per rilevare le funzioni motorie e sensoriali, grazie alle quali il feto sviluppa la capacità di interagire con il mondo esterno.
L’osservazione dei bambini nati prematuri ha costituito un’ulteriore fonte di informazioni sulla vita prenatale.
Le attuali ricerche di psicologia evolutiva hanno rilevato come lo sviluppo psichico dell’individuo sia determinato, nella sua qualità ed efficienza, non tanto da fattori biologici, quanto da apprendimenti precoci, relativi all’epoca fetale ed ai primi mesi di vita.
Gli apprendimenti precoci, che vengono indicati come i primi elementi nella costruzione progressiva delle strutture mentali e delle funzioni psichiche, dipendono dalla relazione del feto, poi neonato, con i suoi “caregivers” e dalle esperienze ambientali in cui egli si trova immerso, che condizioneranno la formazione delle sue capacità percettive e comunicative nel gioco dell’interazione dinamica tra fattori costituzionali e ambientali.

Gli studi effettuati nel campo dell’ “attaccamento prenatale”.
La ricerca clinica che ha contribuito a rilevare il peso degli eventi traumatici vissuti dalla madre durante la gravidanza sulla salute del bambino.

Sviluppo sensoriale del feto
Nei nove mesi della gestazione il bambino vive immerso in un ambiente ricco di stimoli multiformi che orientano le tappe del suo sviluppo neurofisioligico, accanto ad un mondo variegato di emozioni e affetti che accompagnano le tappe psico-fisiche del suo sviluppo mentale.

Grazie all’utilizzo di nuovi strumenti di indagine è stato possibile verificare come il feto non sia assolutamente in uno stato di isolamento, gli organi di senso gli permettono di interagire con l’esterno.

La conoscenza delle caratteristiche evolutive del bambino prematuro ha consentito di datare con maggiore precisione il grado di sviluppo degli organi fetali ed ha confermato la presenza di elaborate capacità percettive e di primitive organizzazioni comportamentali a partire dalla venticinquesima settimana di vita. Gli organi di senso e i centri cerebrali sono già formati fin dal periodo embrionale, quindi nei primi tre mesi di gestazione e alla fine della gravidanza tutti i canali sensoriali sono completamente funzionali e attivi.

La sequenza nello sviluppo degli apparati sensoriali prevede che divenga funzionale per primo il sistema tattile, già nella sesta settimana di gestazione.

Non è strano che l’organo di senso che si sviluppa per primo sia il tatto, la pelle rappresenta il principale strumento con il quale interagiamo e comunichiamo con l’esterno.

Per il feto il tatto diventa il primo e importante mezzo per poter entrare in contatto con la parete uterina e quindi con la madre.

E’ stato dimostrato infatti che il bambino, ad una certa fase del suo sviluppo, percepisce se qualcuno o qualcosa tocca il ventre materno e reagisce a questo con differenti movimenti a seconda che la stimolazione sia piacevole o meno. Ecco perchè il contatto fisico e corporeo con i genitori è molto importante, consentendo al bambino di percepire già in questa fase l’amore, la vicinanza delle persone che si prenderanno cura di lui.

Anche i meccanismi per la percezione del dolore, si sviluppano presto, a partire dalla terza settimana di gestazione. La più recente scoperta riguarda le capacità olfattive fetali. Lo sviluppo della memoria olfattiva del feto gli permetterà di riconoscere la madre una volta nato. Ciò spiega, tra l’altro, come i bambini appena nati, percependo un odore simile a quello del liquido amniotico, sono attratti dal latte e dal seno materno; l’odore del seno materno può risvegliare ricordi legati al vissuto prenatale.

Affianco all’odore i bambini riconoscono anche il gusto, testimoniando i continui scambi che avvengono nell’utero tra questi due sensi. Il feto riesce a discriminare le sostanze dolci da quelle amare, infatti reagisce a queste sostanze in maniera diversa.

Molto probabilmente le esperienze relative al cibo fatte dalla madre durante la gravidanza lasciano delle tracce nella memoria del bambino. La memoria gustativa e in parte anche quella olfattiva hanno un grande valore perché possono determinare le esperienze successive che il bambino farà con il cibo e quindi condizionare i suoi gusti.

Inoltre il gusto influenza le prime esperienze di accettazione o di rifiuto della realtà e svolge un ruolo importante nello sviluppo della capacità di adattamento e del senso di appartenenza.

Il nascituro ascolta i suoni materni e il mondo al di fuori della madre per almeno 6 mesi prima della nascita. L’ambiente uterino è di per sé ricco di rumori provenienti dai funzionamenti fisiologici del corpo materno, come il rumore del flusso sanguigno, il movimento ritmico del respiro, il battito cardiaco.

Il feto è continuamente in ascolto di tutti gli stimoli sonori che provengono dall’interno del corpo della madre ma anche dal mondo esterno, quindi i rumori e le voci. Il suono del battito cardiaco e la voce materna costituiscono le basi sensoriali su cui si fonda il legame madre-bambino.

Si presume che la voce della madre, avendo anche una risonanza interna, venga percepita meglio e riconosciuta anche dopo la nascita rispetto alle altre e possa operare a livello della memoria del feto già durante la vita prenatale e favorire la successiva comprensione e il successivo apprendimento del linguaggio verbale. L’acquisizione del linguaggio comincia infatti nel grembo quando i nascituri ascoltano ripetutamente l’intonazione delle loro madri e imparano la “lingua materna”.

L’esposizione intrauterina ai suoni è importantissima perché la voce materna può incoraggiare l’attaccamento del bambino appena nato alla persona che è la sua principale fonte di sostentamento. Per questo motivo è solitamente consigliato ai genitori di parlare al feto; l’uso di un linguaggio semplice e affettuoso favorisce lo sviluppo dell’udito, la memorizzazione del linguaggio e accresce lo stato di sicurezza e protezione.

Alla luce del precoce sviluppo delle capacità neurosensoriali del feto, si può capire come nel processo di crescita e sviluppo del bambino la stimolazione sensoriale sia molto importante. Il bambino in utero segue tutto ciò che avviene nell’ambiente circostante, sviluppando così le sue innate capacità di apprendimento e stimolando nel contempo la funzione dei suoi organi sensoriali.

Per questo motivo alcuni studiosi e operatori del settore prenatale hanno messo a punto dei programmi di stimolazione di tipo sistematico, tattile e uditivo (vocale e musicale) per aumentare la comunicazione tra genitori e nascituro.

Attaccamento prenatale
Con “attaccamento prenatale” gli studiosi si riferiscono al particolare legame che i genitori sviluppano verso il feto durante la gravidanza. Winnicot fu il primo a rilevare come la comunicazione che si instaura tra la madre e il feto è determinante per l’importantissima relazione di attaccamento e per il successivo sviluppo psichico del bambino.

L’attaccamento madre-bambino, fondamentale per un normale e sano sviluppo emotivo, sociale, psichico…, non inizia dunque nei primi attimi successivi al parto, bensì comincia molto prima e si instaura durante tutti i nove mesi di gravidanza.

Nel 1981 fu la Cranley a definire il costrutto dell’”attaccamento materno-fetale” per descrivere le caratteristiche del legame che i genitori sviluppano durante le fasi della gravidanza verso il bambino che attendono. Solitamente si è soliti pensare che la donna sviluppi un reale attaccamento verso il nascituro dal momento in cui comincia a percepirlo fisicamente attraverso i movimenti del feto; in realtà alcuni studi hanno dimostrato come la percezione del feto sia mossa principalmente da un coinvolgimento psicologico.

Attualmente partendo dall’ipotesi, già avanzata da Cranley, che la qualità dell’investimento affettivo prenatale influisca sui processi della gravidanza, sulla successiva relazione di attaccamento genitori-bambino e sullo sviluppo psichico infantile, sono state svolte molte ricerche sul ruolo di alcuni fattori sullo sviluppo dell’ attaccamento prenatale.

Principalmente è stato constatato come le madri con l’avanzare della gravidanza percepiscono sempre più il feto come una persona, intensificando con il trascorrere dei mesi il legame di attaccamento. Questo legame sembra non dipendere dalla percezione fisica del feto, ma dal coinvolgimento psicologico da parte della madre che viene messo in atto sin dal concepimento.

Chiaramente la simbiosi profonda tra la madre e il feto, fa sì che fattori psicosociali, emotivi, affettivi, vissuti dalla madre durante la gestazione ricadano inevitabilmente sulla relazione e sull’attaccamento madre-bambino, creando delle tracce mnestiche che si conserveranno intatte nella psiche del bambino e quindi dell’adulto.

Numerosi studi sottolineano inoltre come sullo sviluppo di un adeguato attaccamento materno-fetale influiscano i fattori psicologici e psicopatologici, non solo della madre ma anche del contesto familiare in cui essa vive. Riveste infatti notevole importanza il clima emotivo e familiare in cui madre e feto sono inseriti.

A riguardo recentemente si è cercato di dare importanza anche allo sviluppo dell’attaccamento tra nascituro e padre. A tal proposito viene attribuita un’importanza sempre maggiore alla figura paterna; la presenza e il coinvolgimento del padre è di estrema importanza per lo sviluppo del bambino. L’attenzione viene sempre più spostata, dal rapporto madre-bambino, alla triade madre-padre-bambino; il futuro padre contribuendo a mantenere un’atmosfera di sostegno, protezione, serenità e comunicando con il bambino attraverso la propria voce e il contatto, crea le basi per il primo legame, fondamentale per lo sviluppo relazionale futuro del bambino.

Da un recente studio italiano è emerso che, diversamente dall’attaccamento materno-fetale che si incrementa con il progredire della gravidanza, nel padre l’attaccamento al feto si sviluppa nel primo trimestre e poi si mantiene ad un livello costante fino alla fine della gravidanza.

La ricerca clinica
Diversi studi rivelano come spesso, nel corso della osservazione e della terapia effettuata con tecniche diverse, dalla psicoanalisi, alla regressione ipnotica, alla analisi immaginativa, alla terapia primaria, emergono dei vissuti strettamente correlati con la vita prenatale.

In molti casi gli stati emozionali e psichici vissuti dalla madre durante la gravidanza restano custoditi nella memoria del bambino e possono influire sul suo vissuto futuro. Ogni tipo di esperienza emotiva vissuta dalla madre viene trasmessa al feto; quindi se la madre si trova in uno stato emotivo piacevole e positivo il feto ne trae benefici, se invece vive in uno stato emotivo negativo e ansiogeno il feto risponderà con agitazione, tachicardia e probabilmente un senso di frustrazione psichica. Ciò avviene sia perché le emozioni positive vissute dalla madre consentono la messa in circolo di endorfine da parte del sistema limbico, sia perché lo stato di quiete e tranquillità trasmette al nascituro un senso di accettazione e amore.

Alcuni studi hanno verificato che il feto è influenzato da intensi turbamenti degli stati emotivi materni e manifesta questo restando per alcune ore successive all’evento disturbante in uno stato di agitazione motoria; se la situazione di stress materno persiste nel tempo, l’eccitazione motoria fetale diventa un tratto stabile riflettendosi per esempio nel basso peso alla nascita.

Questi studi trovano conferma nell’ambito della psicologia clinica e riscontro in alcune particolari indagini finalizzate ad individuare una correlazione significativa tra le esperienze vissute in gravidanza e le tracce lasciate nel corpo del bambino.

In una lettura psicoanalitica degli stati patologici, diversi ricerche e osservazioni in campo psicoanalitico hanno rilevato come in molti casi i disturbi presentati dai pazienti quali, stati depressivi, angosce, fobie, patologie della sfera alimentare e del comportamento, sembrano riconducibili a episodi, traumi ed esperienze, vissuti nel periodo prima della nascita.

E’ stato dimostrato come sia molto probabile che le madri di figli schizofrenici abbiano vissuto forme di depressione durante il sesto o il settimo mese di gravidanza.

Madri emotivamente disturbate possono dare alla luce bambini con elevato rischio di turbe del sonno, problemi digestivi ed irritabilità. Gli aspetti di devianza e i disturbi della personalità genitoriale sembrano essere maggiormente correlati con un basso sviluppo dell’attaccamento prenatale. Molto dannose per il bambino sono anche le situazioni di disagio e di stress intenso e continuo, dato ad esempio da varie preoccupazioni, paure e angosce.

I bambini le cui madri sono sottoposte a stress durante la gravidanza possono andare incontro ad un rischio maggiore di iperattività, problemi motori e deficit dell’attenzione rispetto ai bambini di madri tranquille.

L’esposizione a stati d’animo negativi e a disturbi psichici materni non solo influenza lo sviluppo del feto, ma a volte questa influenza può essere definitiva. Purtroppo la mancanza di una sana relazione madre-feto che svolge il ruolo fondamentale di protezione, può in alcuni casi predisporre a patologie psichiatriche gravi.

Chiaramente è facile immaginare come anche l’ambiente nel quale vive la madre è fondamentale per un sano sviluppo del feto; non è quindi indifferente che il nutrimento che riceve il bambino durante la gestazione provenga da un ambiente salubre, puro, ricco e di alto valore nutritivo, oppure da un ambiente inquinato, degradato e povero di stimoli.

Per tutti questi motivi è di fondamentale importanza il ruolo dei fattori di sostegno affettivo, emotivo e sociale presenti nel contesto di vita della gestante.

Fonte: Psicoterapia.it
Autore: Miriam Lanotte

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