Si parla molto e si comunica poco. Che fare se i figli «non ascoltano»

In Psicologia Clinica, Psicologia Clinica Famiglia by Centro PSY

Le parole che educano sono poche. L’errore più frequente? Mortificare. Per educare non è sufficiente parlare, serve l’esempio e la regola.

La frase è nota. Un refrain comune a nove genitori su dieci: «Mio figlio non mi ascolta». Il ragazzo con le orecchie sigillate ha, in genere, un’età in zona adolescenza, ma con sempre più frequenza il «disturbo» colpisce, stranamente, anche la prima infanzia. Non c’è tono, pacato, normale, stridulo, acuto, imperioso, che riesca a raggiungere, e superare, la barriera del timpano filiale. È una cosa che diverte molto il pedagogista Daniele Novara. Nel suo simpatico accento emiliano ricorda a mamme e papà che:
A. l’idea non ha base scientifica.
B. al contrario, i bambini sono normalmente portati ad ascoltare i genitori.
La prova? Il bilinguismo. Se in casa si parlano lingue diverse, i piccoli le acquisiscono prestando attenzione alle parole dei genitori.

Novara sa, però, che il tema comunicazione con i figli è un terreno minato. Delicatissimo. In queste settimane riparte un nuovo ciclo di incontri della Scuola Genitori, ideato dal CPP, Centro PsicoPedagogico per l’Educazione e la Gestione dei Conflitti e sponsorizzato da Doremi Baby, e l’esperto ha deciso portare in cattedra l’argomento. «Farsi ascoltare! Come comunicare efficacemente con i figli» è il tema del suo intervento del 7 aprile alla Sala Provincia, via Corridoni 16 a Milano.

Perché i figli «non ascoltano»?
«È un problema di natura educativa. I genitori di oggi hanno un modello educativo tipo peluche: morbido, compiacente, servizievole. Così si è creato l’equivoco che per educare sia sufficiente parlare. Un errore serio, perché l’educazione è esattamente il contrario: non si insegna con l’eccesso verbale, tipico delle nuove generazioni, ma con l’esempio e la regola. I problemi sorgono se si sostituisce una buona e chiara organizzazione educativa con le parole».

Come parlare ai figli?
«Quando sono piccoli, in modo chiaro e semplice. Se gli si chiede di fare una cosa o gli si affida un compito bisogna evitare la comunicazione ridondante, ricca di dettagli. Gratifica molto il genitore ma crea confusione nel figlio. Viceversa, quando sono adolescenti, bisogna imparare a tenersi a distanza. Dosare le parole per evitare il conflitto, per non farsi trascinare nella bagarre emotiva».

Le parole dei figli possono essere taglienti. O accendere campanelli d’allarme. Come valutarle?
«Mai prendere troppo alla lettera quello che dicono i figli. Fino ai dieci anni il bambino ha una propensione al pensiero magico. Frasi preoccupanti come “a scuola mi rubano le matite” o “non mi regali mai niente” indicano un’autoreferenzialità che ha ancora caratteristiche magiche. Se ci si attiene solo al senso, si rischia di incagliarsi. L’adolescente, invece, parla spinto dall’enfasi emotiva, per svincolarsi dal controllo genitoriale. Quindi esagera ed esplode con frasi come “se non mi lasci uscire te la faccio pagare”. Il consiglio, quindi, è di ascoltare e cercare di capire cosa si nasconde dietro a una comunicazione magica o enfatica».

Quale è l’errore più comune che blocca la comunicazione con i figli?
«Mai mortificare. Frasi, purtroppo frequenti, come “sei sempre il solito”,’“non capisci niente”,”non mi posso proprio fidare” sono deleterie. Minano l’autostima e hanno implicazioni negative sulla relazione genitori-figli. Non si arriva al rispetto delle regole con urla e sgridate».

Per non essere soffocanti e rigidi si sceglie la carta dell’amicizia. Mossa giusta o sbagliata?
«Un clima amichevole in famiglia è piacevole. Ma attenzione: mamme e papà devono accettare la privacy dei figli e il fatto che è giusto che i ragazzi non dicano tutto. Oggi c’è questa nuova genitorialità-online, che permette di seguire, controllare, spiare. Non va bene: si alimenta una morbosità sbagliata, la pretesa di essere i migliori confidenti dei figli è un errore».

Che fare quando si è esasperati e prossimi a “esplodere”?
«Sono sempre molto scettico riguardo alle punizioni. Regole chiare e semplici sono lo strumento più efficace per arrivare a un buon livello di comunicazione. Se serve una pausa, penso sia utile provare con la tattica del silenzio attivo. Esplicitato. Di brevissima durata per i piccoli, quattro-cinque minuti al massimo durante i quali i genitori non parlano. Più lungo, ma mai eccessivo, se si tratta di adolescenti fino ai 15-16 anni».

Autore: Marta Ghezzi
Fonte: Corriere.it

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