Secondo l’articolo 1 della normativa vigente (legge 56 del 1989), “La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito”.
Per esercitare la professione di psicologo è necessario aver conseguito la laurea quinquennale in Psicologia, aver svolto un tirocinio pratico (1000 ore), aver superato l’Esame di Stato ed essere iscritto nell’apposito Albo professionale come da articolo 2:
(Requisiti per l’esercizio dell’attività di psicologo)
1. Per esercitare la professione di psicologo è necessario aver conseguito l’abilitazione in psicologia mediante l’esame di Stato ed essere iscritto nell’apposito albo professionale.
2. L’esame di Stato è disciplinato con decreto del Presidente della Repubblica, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
3. Sono ammessi all’esame di Stato i laureati in psicologia che siano in possesso di adeguata documentazione attestante l’effettuazione di un tirocinio pratico secondo modalità stabilite con decreto del Ministro della pubblica istruzione, da emanarsi tassativamente entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Di contro, secondo la definizione riportata da AssoCounseling, Il counseling professionale è un’attività il cui obiettivo è il miglioramento della qualità di vita del cliente, sostenendo i suoi punti di forza e le sue capacità di autodeterminazione. Il counseling offre uno spazio di ascolto e di riflessione, nel quale esplorare difficoltà relative a processi evolutivi, fasi di transizione e stati di crisi e rinforzare capacità di scelta o di cambiamento. E’ un intervento che utilizza varie metodologie mutuate da diversi orientamenti teorici. Si rivolge al singolo, alle famiglie, a gruppi e istituzioni. Il counseling può essere erogato in vari ambiti, quali privato, sociale, scolastico, sanitario, aziendale.
Il titolo di counselor non richiederebbe alcuna formazione accademica, né un’abilitazione professionale, ma la mera iscrizione all’associazione stessa dopo la frequenza di un corso triennale di formazione di natura privata che abiliterebbe a svolgere i seguenti interventi:
1. utilizzare strumenti conoscitivi (al pari degli psicologi) derivanti da diversi orientamenti teorici.
2. ascoltare e riflettere con il cliente in merito alle sue difficoltà (in pratica quello che la letteratura scientifica definisce come intervento per la prevenzione in ambito psicologico).
3. sostenere famiglie, gruppi e istituzioni (ossia offrire sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità.
Si tratterebbe, quindi, di attività coincidenti con quelle che la legge 56/89 riserva agli psicologi, fatta eccezione per la sola attività di diagnosi, non espressamente contemplata dall’associazione.
Questa è stata l’accusa mossa dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi contro Assocounseling e, secondo quanto si evince dalla sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, è stata disposta la cancellazione di quest’ultima dall’elenco delle attività non regolamentate dalla legge 4/2013. In sostanza, i counselors non hanno alcuna competenza per gestire il rischio psichico che attiene alla sfera della salute:
“Non può non convenirsi che la gradazione del disagio psichico presuppone una competenza diagnostica pacificamente non riconosciuta ai counselors e che il disagio psichico, anche fuori da contesti clinici, rientra nelle competenze della professione sanitaria dello psicologo […] L’attività di diagnosi del disagio psicologico rientra sempre e comunque pacificamente nelle competenze proprie dello psicologo ai sensi del citato art. 1 L. 56/1989” (Estratto della sentenza).
Negli ultimi anni si è assistito a una vera e propria esplosione quantitativa e qualitativa, legata forse a una maggiore sensibilità ai problemi di ordine psicologico, di interventi di aiuto nei diversi ambiti dell’esistenza da parte di molteplici operatori, sia nelle tradizionali aree sanitaria e sociale, sia nel vasto contesto del volontariato e dell’associazionismo privato senza fini di lucro così come in ambiti tendenzialmente meno legati ad attività di aiuto, come le professioni legali.
«Questo rende indispensabile un chiarimento e una ridefinizione dei ruoli e delle aree di intervento dei vari operatori dell’aiuto e auspicabile una formalizzazione di tali figure e dei loro iter formativi nell’interesse sia degli utenti sia degli operatori stessi, da una parte per garantire a chi chiede aiuto una risposta adeguata ai propri bisogni, dall’altra per dare a chi lo fornisce gli strumenti più adatti a migliorare l’efficacia degli interventi e affrontare, con maggiore consapevolezza, il rischio insito in ogni relazione d’aiuto.
La proliferazione di tecniche e metodiche confusamente eclettiche, il costante aumento si scuole che tendono a occupare sempre più spazi di intervento senza le opportune garanzie, comporta la necessità, se non il dovere, di definire i confini, le specificità, gli ambiti di applicazione e i limiti dei vari interventi di aiuto. In quest’ottica diviene di fondamentale importanza distinguere le professioni che connotano la propria dimensione di aiuto verso la promozione della salute (prevenzione primaria), dalle professioni che intervengono sul malessere e sul disagio (prevenzione secondaria) e ancora da quelle che agiscono a livello psicopatologico nell’ottica curativa e riabilitativa (prevenzione secondaria e terziaria)»
[M. Fulcheri, Le Attuali Frontiere della psicologia clinica, p.57].
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