Non conta quello che si dice, ma come lo si dice

In Psicologia Clinica by Centro PSY

Nel Piccolo Principe si dice che “le parole sono una fonte di malintesi”. È una frase molto saggia, se consideriamo il fatto che non è per niente facile trasformare i nostri pensieri in parole ed esprimerle in modo che il nostro interlocutore le capisca alla perfezione. Quello che diciamo dev’essere capito, non ci possono leggere nel pensiero.

Ma la verità è che i nostri messaggi non vengono mai compresi al 100%. Se qualcuno dice, per esempio, “sono innamorato”, si riferisce a una sensazione che difficilmente gli altri possono capire del tutto.

“Sono innamorato” può essere sinonimo dell’essere pieno di speranze ed entusiasmo, dell’aver ottenuto un legame molto stretto con il partner o semplicemente del sentirsi molto attratto da qualcuno. Dobbiamo conoscere davvero bene una persona per capire che cosa intende quando dice che è innamorata.

Le parole non sono l’unico mezzo con cui comunichiamo, visto che sono accompagnate dall’atteggiamento, dai gesti, dalla posizione del corpo. Possiamo dire qualcosa con le parole e comunicare qualcosa di completamente opposto con il tono di voce, lo sguardo o il nostro atteggiamento in generale. Per questo motivo, imparare a comunicare è una vera e propria arte.

Quello che dici…

La sfida maggiore della comunicazione si verifica quando parliamo del nostro mondo interiore. In particolare dei nostri sentimenti, delle nostre emozioni o delle nostre percezioni. Oltre al fatto che esprimere tutto questo a parole non è facile, è anche impossibile liberarci dai sentimenti e dalle emozioni che proviamo quando dobbiamo comunicare certe cose.

Quando vogliamo comunicare qualcosa, dobbiamo sempre tenere in considerazione la reazione che scateniamo in chi ci ascolta. Di solito, infatti, non comunichiamo soltanto per trasmettere un’informazione, ma principalmente perché vogliamo ottenere qualcosa dai nostri interlocutori. Vogliamo che ci credano, che ci ammirino, che ci valorizzino o che ci comprendano.

Altre volte, invece, vogliamo che ci temano, che ci obbediscano, che ci permettano di prendere il comando o che si sentano feriti. A volte ne siamo coscienti, altre volte no. Per quanto sembri strano, a volte il nostro obiettivo quando comunichiamo è confondere. Non farci capire, ma risultare incomprensibili.

…e quello che c’è dietro a quanto detto

È proprio l’intenzione a definire l’essenza di ogni messaggio. Si può fare un complimento a qualcuno per riconoscerne un pregio, ma anche adulare una persona solo per renderla più vulnerabile e farla cadere in qualche tipo di manipolazione emotiva.

Molto spesso l’intenzione della comunicazione non è chiara nemmeno a noi stessi. Pensiamo che il nostro obiettivo sia aiutare gli altri o far notare loro un errore, ma non prendiamo in considerazione la possibilità che a sbagliare siamo proprio noi.

Crediamo che il nostro proposito sia mettere a nudo i nostri sentimenti, ma ignoriamo che in fondo l’unica cosa che vogliamo è ottenere la compassione o l’ammirazione degli altri. E, se non la otteniamo, pensiamo che siano gli altri a non averci capiti.

Al di là delle parole

La comunicazione umana è un processo complicato, che non sempre va a buon fine. E non dipende soltanto dalle parole che utilizziamo per dire le cose (anche se sono molto importanti), ma da un insieme di fattori.

Bisogna tenere in considerazione il momento, il luogo e l’interlocutore. E soprattutto dobbiamo fare un grande sforzo per assicurarci, nel limite del possibile, di dire davvero quello che vogliamo dire. Gli esseri umani passano la maggior parte del loro tempo a comunicare. Non solo con le parole, ma anche attraverso l’espressione del viso, il modo in cui ci vestiamo, in cui camminiamo, il nostro sguardo, ecc.

Buona parte dei nostri messaggi, quindi, si realizza in modo incosciente. Quando decidiamo che qualcuno “non ci ispira fiducia”, è perché, attraverso le sue azioni o il suo atteggiamento, ci ha comunicato che potrebbe non essere affidabile. E anche noi facciamo lo stesso: quello che comunichiamo su noi stessi costruisce le basi per creare legami costruttivi, distruttivi o neutri.

Comunicare in modo affettivo

I legami quotidiani, a partire da quello semplicissimo con il panettiere da cui andiamo ogni giorno, sono impregnati di sensazioni ed emozioni a cui probabilmente non diamo molta importanza. Tuttavia, quando si tratta dei grandi vincoli affettivi della nostra vita, il problema della comunicazione assume un’importanza molto maggiore.

I legami più stretti sono pieni di elementi comunicativi. Le parole, i silenzi, gli sguardi. Tutto ha un significato.

È a questo punto che diventa più importante che mai sviluppare alcuni meccanismi che permettano alla comunicazione di fluire in modo sano e positivo. Per riuscirci, è importante eliminare alcuni modi negativi di comunicare, e stimolare la comunicazione positiva.

Nella pratica, è necessario imparare a comunicare in modo affettivo. Parlare dei nostri sentimenti nel modo più chiaro possibile, ed evitare quella cattiva abitudine di dare per scontato quello che sente qualcun altro. Come facciamo a capire che cosa prova un’altra persona, se in realtà molto spesso non sappiamo nemmeno che cosa proviamo noi?

La comunicazione aggressiva, inoltre, lascia sempre ferite profonde. Le uniche reazioni della rabbia dovrebbero essere il silenzio e la pausa: se ci comportiamo diversamente e cerchiamo di comunicare quando siamo arrabbiati, molto probabilmente deformeremo quello che avremmo voluto dire.

Una comunicazione positiva ha bisogno di serenità e pertinenza. Dobbiamo cercare il momento, il luogo e lo stato d’animo adatto per affrontare temi difficili. E lasciar fluire in modo spontaneo il nostro affetto quando ci sentiamo tranquilli e aperti verso gli altri.

In realtà, quello che rovina la comunicazione non è quello che diciamo, ma il modo in cui lo diciamo. E quello che invece arricchisce un legame importante è il riuscire ad avere la delicatezza di scegliere il modo migliore per dire agli altri e a noi stessi quello che proviamo e pensiamo.

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