A dieta di computer e cellulare

In Psicologia Clinica, Psicologia Clinica Famiglia by Centro PSY

“Troppa tecnologia fa male”. Restiamo “connessi” quasi sette ore al giorno, allarme degli esperti Usa con una sfida: spegnere smartphone e computer per vivere meglio.

Una franca discussione in famiglia? Impossibile. Un confronto tra genitori sulla scuola dei figli? Anche questo è molto difficile. Quanto a un intero pomeriggio da passare tra le lenzuola è ormai un mito lontano e improbabile. Tutta colpa della troppa tecnologia. Lui è irresistibilmente attratto dal suo home office, lei non riesce a smettere di consultare le mail, quanto ai figli ognuno resta attaccato al suo schermo anche al momento dei pasti. Così, il Wall Street Journal ha lanciato la “dieta tecnologica“, con istruzioni per procedere a piccoli passi nella strada verso l’unplugged. “Se non ve la sentite di staccare per una settimana o imporre bruscamente ai vostri figli di farlo – ha proposto Susan Maushart, madre di tre figli e fresca autrice del fortunato “L’inverno della nostra disconnessione”, già un best seller in America – provate prima con una manciata di minuti, poi aumentate progressivamente”.

Dagli studi dei (pochi) terapeuti specializzati nella cura della dipendenza da tecnologie, insomma, si sta passando al fai-da-te. E in Italia la proposta dietetica suggestiona e fa discutere. “Siamo ancora troppo indietro – protesta Giovanna Cosenza, semiologa bolognese che sul suo blog “Disambiguando” si occupa tra l’altro di linguaggi e competenze tecnologiche – sarebbe come preoccuparsi per il futuro rischio di obesità in Africa!”. Ma aggiunge: “Giusto invece imporre regole ai ragazzini, come del resto su qualsiasi altra cosa. Non si gioca alla playstation a tavola proprio come non ci si mette le dita nel naso, e si spera che gli adulti utilizzino tra loro altrettanta buona educazione”.

Ennio Martignago, psicoterapeuta e consulente di knowledge sharing, propone una terza via: “Tra l’astinenza forzata a tabelle fisse, come quella calorica, e la coscienza del fumatore John Belushi che ama le sue sigarette, si può scegliere l’ironia del manager che capisce che il Blackberry è il collare attraverso il quale l’azienda gli impartisce scosse elettriche serali, e che è molto meglio regalarlo al figlio, che tanto lo farà cadere nella prima pozzanghera o lo lascerà rubare dai compagni”.
Strano ma vero, le voci più favorevoli a una dieta severa arrivano da chi vive di tecnologia, come Luca Conti, giovane blogger di “Pandemia”: “Occorre rendersi conto che è sbagliato essere “always on”. Condivido quanto scrive Douglas Rushkoff nel suo recente “Program or be programmed”. L’uomo non è fatto per il real time, che fa calare l’attenzione e la produttività e danneggia le relazioni personali”. La sua proposta? Basica e molto italiana: niente computer né telefono a tavola, al cinema e a letto.

Martignago aggiunge anche una distinzione fra tecnologie: “Ci vuole più consapevolezza per una ricerca al computer di quanta serva a stare “always on” su uno smartphone, che può far perdere la percezione di essere effettivamente collegati a una persona virtuale mentre siamo a tavola con moglie, marito o figli. Ma spegnere tutto insieme, nello stesso giorno, mi pare scarsamente praticabile, a New York come in una delle nostre città”.

Una dieta forzata la propongono (e la vendono) software pensati per i ragazzini come “supernannie”, o il francese “stopordi”: il genitore si iscrive, paga (alcune decine di euro all’anno) e decide per quante ore il pc dei pargoli può restare connesso alla rete, o semplicemente acceso. “Il sistema però – fanno notare gli esperti – non si può imporre alla moglie o al marito, né tanto meno a se stessi”. E c’è qualcuno, come Vincenzo Cosenza, responsabile di “Digital Pr” a Roma, che a dieta si è già messo drasticamente: “Occupandomi di comunicazione sui social media, uso più device tecnologici durante tutta la giornata. Dopo il lavoro sento il bisogno di staccare la spina. La sera disattivo rigorosamente ogni connessione, spengo il Blackberry e se posso leggo un buon libro. Per i ragazzini è diverso, loro lo usano per restare insieme ad amici e fidanzati: vanno costretti a riflettere, ma senza troppa rigidità”.

Autore: VERA SCHIAVAZZI
Fonte: la Repubblica.it

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