Bambini, violenza, esperienze sessuali precoci

In Psicologia Clinica, Psicologia Clinica Famiglia, Psicologia Legale e Giuridica by Centro PSY

La notizia di fatti di violenza sui bambini, che si tratti di abusi sessuali, percosse, o addirittura di attentati alla vita, non manca mai di suscitare negli adulti grande emotività (si pensi a quanto si è parlato, si è letto, si è visto, riguardo a quella madre che ha ucciso, annegandoli, i suoi due bambini, rei d’essere d’intralcio a certa sua relazione).

Come dice il Presidente del Tribunale per i Minorenni di Firenze, è proprio quell’emotività che finisce per costituire “l’ostacolo maggiore ad un approccio critico con la reale condizione del minore nella nostra società.”
Di fatto, stando alle reazioni del mondo adulto ai fatti in questione, pare si sia tutti portati ad oscillare tra due estremi opposti, ora a inorridire per il raccapriccio, totalmente identificandosi con la vittima – il bambino offeso, violentato, ucciso – e senza concedere all’adulto indulgenza alcuna – ora a concedergliene troppa, o comunque a mettere il massimo impegno nel tentare di giustificarlo fino ad attuare una vera e propria identificazione con l’aggressore : si pensi per esempio ai reati sessuali, in particolare a quello d’incesto alle cui vittime si tende ancora a negare credibilità e ciò, nonostante che le imputazioni basate su false accuse sarebbero in realtà meno dell’uno per cento. Tutti quelli che lavorano nel campo dell’assistenza o della giustizia minorile, assistenti sociali, psicologi, componenti privati nei tribunali per i minorenni, giudici, sanno quanto sia vero quello che Freud disse – sono passati cento anni – al tempo della sua prima formulazione della teoria della seduzione, che “succede assai più di quanto ci si possa immaginare che i vostri figli vadano soggetti a molestie sessuali ….” e tutti sanno quanto invece sia facile dimostrare negli stessi tribunali che invece si trattava di bugie, fantasie e niente affatto di verità.
Si pensi a tutti i reati assommabili nel cosiddetto abuso di mezzi correzionali dove, nell’accezione stessa dell’abuso di mezzi correzionali, resta implicito che se il fine dell’adulto é quello di “correggere”, dei suddetti mezzi (leggesi percosse) a parte l’abuso, si può o addirittura si deve farne uso.

Si tratta di tendenze diverse e opposte, si é detto, alle quali corrispondono due diverse e opposte ideologie, anzi, due culture. Quella, dice ancora il presidente citato dell’appartenenza del minore agli adulti e quella, più apprezzabile, dell’appartenenza del minore a se stesso.
In realtà sia l’una che l’altra cultura, essendo comunque prodotte dall’adulto, non possono che essere contrassegnate dall’assenza di una rappresentanza diretta della controparte, il bambino , il quale può godere solo dei diritti che l’adulto gli riconosce e soffrire – almeno ufficialmente – solo di quelle trasgressioni da parte dell’adulto che quello stesso adulto é disposto a riconoscersi.
Per cui, se é vero che l’idea di un bambino appartenente all’adulto ha permesso nel corso dei secoli la legittimazione delle violenze più truci nei confronti dell’infanzia, é anche vero che l’altra idea, quella del bambino appartenente a se stesso, rischiando di tacciare di violenza qualsiasi tipo di progetto dell’adulto sul bambino ( si pensi a certa pedagogia tutta incentrata sul laisser faire) possa in definitiva legittimare un altro tipo di violenza, quella della deresponsabilizzazione e dell’abbandono, laddove il minore non trovi più nessun adulto che si prenda nei suoi confronti la responsabilità di essere tale.

Di qui la necessità di una terza cultura. Una cultura volta a mediare tra il riconoscimento di un’appartenenza sui generis del minore all’adulto, se non altro perché ne ha di fatto bisogno e ne dipende anche per la stessa sopravvivenza, e quello della responsabilità che tale appartenenza comporta per l’adulto.
A questo proposito una maggiorazione delle pene per i reati sessuali contro i minori potrebbe contribuire, sul piano giuridico, al costituirsi della cultura in questione, ove sempre meno possano andare a buon fine meccanismi di difesa e di fuga da quella responsabilità.

Vale la pena ricordare , a questo proposito, che anche la psicoanalisi che molto ha contribuito a definire la personalità del bambino e quindi ad orientare l’individuazione dei bisogni infantili e dei suoi diritti, può essere sospettata di connivenza con i meccanismi di cui sopra.
Nel 1896 Sigmund Freud presentava alla società di psichiatria e neurologia di Vienna una relazione intitolata “Eziologia dell’isteria” dove asseriva che, “alla base di ogni caso di isteria vi sono uno o più episodi di esperienze sessuali precoci ( abusi di adulti su minori ) della prima infanzia ” e definiva tale scoperta “importantissima” e “caput nihli nella neuropsicologia”. Ma passati pochi anni durante i quali la “teoria della seduzione” riceveva da parte dei colleghi esimi del dottor Freud gelida accoglienza fino ad essere definita una “favola scientifica” , Freud ritornò sui suoi passi asserendo di essersi prima sbagliato ché “quei traumi non erano veri bensì frutto della fantasia delle sedicenti vittime” le quali, nel mentre che la teoria della seduzione si trasformava in teoria della fantasia di seduzione , da vittime si trovarono trasformate in piccoli aggressori “polimorfi e perversi” della rispettabilità degli adulti.

Così le due culture di cui si é menzionato si sarebbero scontrate anche nella vicenda della psicoanalisi, scoprendo prima un bambino che deve essere dall’adulto difeso a tutti i costi, anche a quello – assai alto per uno come Sigmund Freud – d’esser tacciato dall’entourage scientifico di raccontare favole, poi un bambino da cui l’adulto deve invece difendersi, a tutti i costi, anche a quello di commettere ciò che da qualcuno é stato definito un attentato alla verità.
E se invece quei traumi fossero stati veri?
E se invece fosse vero, oggi come cento anni fa, che “succede assai più di quanto non si potrebbe immaginare etc…”?
Allora, una cultura della responsabilità dovrebbe essere quella in cui l’adulto, anzichè interrogare il bambino per scoprire se dice le bugie o la verità, si preoccupasse maggiormente d’interrogare se stesso anche riguardo a certe bugie e – perchè no? – fantasie del bambino.

1994 – Intervento di Patrizia Adami Rook al Convegno annuae dell’Istituto di Sessuologia di Firenze

Fonte: Rolandociofis’Blog

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