Dalla culla alla tomba. La persistenza dell’attaccamento attraverso gli anni

In Psicologia Clinica, Psicologia Clinica Famiglia by Centro PSY

L’idea comune è che quando si parla di attaccamento si parli ai bambini. Questo è sicuramente in parte vero, ma non è tutto. Il sistema dell’attaccamento è un Sistema Motivazionale Innato (SMI, Liotti, 2001), che si manifesta sicuramente in maniera più eclatante durante i primi anni di vita, ed è impensabile che possa scomparire da un momento all’altro, o anche solo da un anno a quello successivo. L’obiettivo di questo articolo è di mostrare come il sistema dell’attaccamento permanga nell’individuo e come venga riattivato all’interno di relazioni a contenuto altamente emotivo, come quella col partner sessuale, in anni successivi all’infanzia.

Origini e Basi della Teoria

La teoria dell’attaccamento sottolinea il ruolo centrale delle relazioni nello sviluppo dell’essere umano, dalla nascita alla morte (Bretherton e Munholland, 1999). Postula che gli esseri umani abbiano una predisposizione innata a formare relazioni di attaccamento con le figure genitoriali primarie, che le relazioni di attaccamento abbiano la funzione di proteggere la persona attaccata, e che tali relazioni esistano in forma organizzata alla fine del primo anno di vita (Crittenden, 1999).

Pur derivando dalla teoria delle relazioni oggettuali, “si fonda su un nuovo tipo di teoria dell’istinto” (Bowlby, 1969, p. 37), attingendo dalla cibernetica, per i concetti di sistema comportamentale, di piano d’azione e di retroazione negativa, e dall’etologia, in particolare dagli studi di Lorenz sull’imprinting e dagli esperimenti di Harlow sulla privazione di cure materne riguardo ai macachi rhesus nei primi mesi di vita. Bowlby, infatti, non era pienamente convinto della correttezza delle ipotesi prevalenti sull’origine dei legami affettivi avanzate nella prima metà del XX secolo, ove la teoria psicoanalitica sottolineava come il legame emotivo con la madre (o meglio ancora col caregiver) fosse una pulsione secondaria, basata sulla gratificazione dei bisogni orali (Fonagy, 2001).

Erano allora già disponibili i lavori di Lorenz (1935, cit. in Bowlby 1988, p. 24) sulla risposta, manifestata dagli anatroccoli, del seguire un essere umano, ma anche una scatola di cartone o un pallone (Bowlby, 1969), i quali lavori dimostravano che in alcune specie animali può svilupparsi nei confronti di una specifica figura materna un forte legame, che va al di là della richiesta di vicinanza come richiesta di nutrizione, dato che questi uccelli non si cibano attraverso i genitori, ma catturando autonomamente gli insetti. Inoltre, Harlow (Harlow e Zimmermann, 1959, cit. in Bowlby, 1988, p. 25) aveva mostrato la preferenza dei piccoli macachi rhesus per un soffice sostituto materno artificiale che fosse in grado di offrire esclusivamente calore, rispetto ad un freddo simulacro di ferro in grado di nutrirli. Le reazioni delle piccole scimmie di Harlow che, private della presenza del simulacro di stoffa rappresentante la madre, “attraversano correndo la stanza e si buttano a faccia in giù, comprimendosi convulsamente la testa ed il corpo ed esprimendo con grida lamentose il loro sconforto” (Harlow, 1961), sembravano anch’essi dimostrare una tendenza innata alla vicinanza, una vicinanza ricercata dal piccolo non per la soddisfazione dei bisogni alimentari. Infatti, la teoria dell’attaccamento “postula che la funzione biologica di questo comportamento sia la protezione, in particolare la protezione dai predatori” (Bowlby, 1988, p. 3). Il mantenersi vicino ad un caregiver aumenta, infatti, la sicurezza e la capacità di esplorare l’ambiente, consentendo inoltre l’interazione sociale e la difesa.

Studiando il comportamento dei piccoli di scimmia e dei bambini nei primi tempi di vita, in relazione alla madre ed all’ambiente, Bowlby poté notare la presenza degli stessi schemi di comportamento in specie diverse. In particolare, verificò che in presenza della madre il piccolo esplora l’ambiente circostante ed intrattiene qualche forma di relazione con i membri della famiglia o del gruppo. Al momento in cui è avvertita dal piccolo una qualche forma di minaccia, l’esplorazione cessa e questo torna prontamente alla madre per ricevere conforto e protezione. Per poter garantire a se stesso questa sicurezza, il piccolo tenta di rimanere vicino alla madre e protesta energicamente se ne viene separato.

Dal fertile terreno dell’etologia, dunque, Bowlby (1969) estrasse le dovute analogie tra il comportamento dei piccoli primati subumani (il macaco rhesus, il babbuino, lo scimpanzé ed il gorilla) e quello dei bambini, concludendo che ciò che egli definì sistema comportamentale di attaccamento, finalizzato alla ricerca e al mantenimento della vicinanza ad un altro individuo, era da interpretarsi in chiave evoluzionistica come un sistema promosso dalla filogenesi con lo scopo di proteggere i piccoli dai pericoli e tenerli a stretto contatto con la figura che li accudisce, e non solo per il loro nutrimento.

A questo punto è già possibile delineare le quattro caratteristiche che distinguono ogni relazione di attaccamento dalle altre relazioni sociali: la ricerca e il mantenimento della vicinanza fisica, l’angoscia da separazione dalla figura d’attaccamento e l’uso di questa come rifugio e come base sicura (Ainsworth, 1989).

Gli Stili di Attaccamento
Il termine base sicura è da attribuirsi a Mary Ainsworth che collaborò con Bowlby ed alla quale si deve il sistema di codifica ideato per classificare i tre pattern base di relazione in bambini di età prescolare ricongiuntisi ai genitori dopo un lungo periodo di degenza in un sanatorio (Bretherton, 1992). Ainsworth distinse un primo gruppo che manifestava sentimenti positivi verso la madre, un secondo che manifestava relazioni marcatamente ambivalenti ed un terzo che intratteneva con la madre relazioni non espressive, indifferenti o ostili. L’approntamento della Strange Situation (Ainsworth e Wittig, 1969) (un dramma in miniatura di venti minuti ove vengono osservati i comportamenti e le reazioni emotive del bambino in presenza della madre, al momento della separazione da questa ed in compagnia di un estraneo) e le successive osservazioni nell’ambiente domestico rivelarono che i bambini che si erano dimostrati ambivalenti o evitanti nei confronti della madre durante il ricongiungimento nella Strange Situation avevano a casa una relazione con la madre meno armonica di coloro che ricercavano la vicinanza durante il ricongiungimento (Ainsworth et al., 1974). Da queste osservazioni nacque il famoso sistema di classificazione della Strange Situation che prevedeva inizialmente tre stili di attaccamento: sicuro, insicuro ansioso ambivalente e insicuro evitante.

Lo stile di attaccamento, che un bambino svilupperà dalla sua nascita in poi, dipende in grande misura dal modo in cui i genitori (o altre figure parentali) lo trattano, figure che, nel contesto della teoria, prendono il nome di Figure di Attaccamento. In base a tale interazione si strutturerà uno tra i seguenti tre stili (Bowlby, 1988; Fenelli e Lorenzini, 2001):

sicuro (B): l’individuo ha fiducia nella disponibilità e nel supporto della figura di attaccamento, nel caso si verifichino condizioni avverse o di pericolo. In tal modo, si sente libero di poter esplorare il mondo. Tale stile è promosso da una Figura sensibile ai segnali del bambino, disponibile e pronta a dargli protezione nel momento in cui il bambino lo richiede.

I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: sicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di essere amabile, capacità di sopportare distacchi prolungati, nessun timore di abbandono, fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli altri, Sé positivo e affidabile, Altro positivo e affidabile. L’emozione predominante è la gioia;

insicuro evitante (A): questo stile è caratterizzato dalla convinzione dell’individuo che, alla richiesta d’aiuto, non solo non incontrerà la disponibilità della figura di attaccamento, ma addirittura verrà rifiutato da questa. Così facendo, il bambino costruisce le proprie esperienze facendo esclusivo affidamento su se stesso, senza l’amore ed il sostegno degli altri, ricercando l’autosufficienza anche sul piano emotivo, con la possibilità di arrivare a costruire un falso Sé. Questo stile è il risultato di una Figura che respinge costantemente il figlio ogni volta che le si avvicina per la ricerca di conforto o protezione.

I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: insicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di non essere amato, percezione del distacco come “prevedibile”, tendenza all’evitamento della relazione per convinzione del rifiuto, apparente esclusiva fiducia in se stessi e nessuna richiesta di aiuto, Sé positivo e affidabile, Altro negativo e inaffidabile. Le emozioni predominanti sono tristezza e dolore;

insicuro ansioso ambivalente (C): non vi è nell’individuo la certezza che la figura di attaccamento sia disponibile a rispondere ad una richiesta di aiuto. Per questo motivo l’esplorazione del mondo è incerta, esitante, connotata da ansia ed il bambino è incline all’angoscia da separazione. Questo stile è promosso da una Figura che è disponibile in alcune occasioni ma non in altre e da frequenti separazioni, se non addirittura da minacce di abbandono, usate come mezzo coercitivo.

I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: insicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di non essere amabile, incapacità di sopportare distacchi prolungati, ansia di abbandono, sfiducia nelle proprie capacità e fiducia nelle capacità degli altri, Sé negativo e inaffidabile (a causa della sfiducia verso di lui che attribuisce alla figura di attaccamento), Altro positivo e affidabile. L’emozione predominante è la colpa.

Tuttavia, dalle osservazioni della Strange Situation è emerso che alcuni bambini manifestavano comportamenti non riconducibili a nessuno dei tre pattern comportamentali sopra descritti, rivelando così la necessità di aggiungere un quarto stile di attaccamento alla classificazione originaria. Main e Solomon (1986) hanno proposto la definizione disorientato/disorganizzato (D) per descrivere le diverse gamme di comportamenti spaventati, strani, disorganizzati o apertamente in conflitto, precedentemente non individuati, manifestati durante la procedura della Strange Situation di Ainsworth. I due autori suggeriscono di considerare disorientati/disorganizzati gli infanti che, ad esempio, appaiono apprensivi, piangono e si buttano sul pavimento o portano le mani alla bocca con le spalle curve in risposta al ritorno dei genitori dopo una breve separazione. Altri bambini disorganizzati, invece, manifestano comportamenti conflittuali, come girare in tondo mentre simultaneamente si avvicinano ai genitori. Altri ancora appaiono disorientati, congelati in tutti i movimenti, mentre assumono espressioni simili alla trance. Sono anche da considerarsi casi di attaccamento disorganizzato quelli in cui i bambini si muovono verso la figura di attaccamento con la testa girata in altra direzione, in modo da evitarne lo sguardo. Liotti (2001) racconta di un caso particolarmente drammatico di disorganizzazione dell’attaccamento in cui una bambina esprimeva due emozioni diverse (rifiuto/disgusto e gioia) nelle due metà del volto durante la riunione alla madre.

Secondo gli autori, ad origine di tali comportamenti vi è una figura di attaccamento spaventata/spaventante, che diviene per il bambino allo stesso tempo fonte di conforto e di allarme, evocando contemporaneamente risposte contraddittorie. A questo punto il bambino sperimenta la tendenza intrinsecamente contraddittoria sia a fuggire che ad avvicinarsi alla figura di attaccamento e ciò lo porta ad un collasso delle strategie comportamentali, manifestando perciò i movimenti e le espressioni fuori luogo, interrotti e/o incompleti, sopra descritti (Lyons-Ruth e Jacobvitz, 1999). La conclusione tratta da Main (Bowlby, 1988, p. 120) è che queste forme comportamentali si manifestino in bambini che presentano una versione disorganizzata di uno dei tre stili tipici, più frequentemente dello stile ansioso ambivalente.

Modelli Operativi Interni

Natura e funzione dei MOI
Secondo Bowlby (1969/1988) gli individui, nel corso dell’interazione col proprio ambiente, costruiscono dei Modelli Operativi Interni (MOI), o Internal Working Models, del mondo fisico e sociale che li circonda, che comprendono i Modelli Operativi di sé e delle figure di accudimento, nonché quello di sé-con-l’altro (Shane, Shane e Gales, 1997; Liotti, 2001). I MOI sono rappresentazioni mentali che hanno la funzione di veicolare la percezione e l’interpretazione degli eventi da parte dell’individuo, consentendogli di fare previsioni e crearsi aspettative sugli accadimenti della propria vita relazionale. Tali rappresentazioni non sono costruite dall’individuo come copie esatte del mondo reale, bensì come strutture mentali che contengono le diverse configurazioni (spaziale, temporale, causale) dei fenomeni del mondo e che possono essere modificate dal soggetto (Simonelli e Calvo, 2002), da qui la scelta dei termini “Modello” e “Operativo”, che suggeriscono rappresentazioni su cui un individuo può mentalmente operare per generare predizioni (Bretherton e Munholland, 1999). La funzione che i MOI assolvono è quella di consentire all’individuo di analizzare le diverse alternative della realtà, di optare per quella ritenuta migliore, di reagire alle situazioni future prima che queste si presentino, di utilizzare la conoscenza degli eventi passati per affrontare quelli presenti e di scegliere una modalità di azione ottimale in relazione agli eventi. Permettono dunque al bambino, e poi all’adulto, di prevedere il comportamento dell’altro e ne guidano le risposte, soprattutto in situazioni di ansia o di bisogno (Bowlby, 1973).

In un contesto relazionale primitivo, i MOI emergono come l’aspetto interiorizzato della qualità delle interazioni ripetute tra il bambino e la figura di attaccamento, dunque dell’attaccamento stesso, e contribuiscono a determinare il comportamento del soggetto e la strutturazione successiva delle relazioni di tale tipo, riflettendo la storia relazionale del bambino con l’adulto di riferimento. Gli elementi costitutivi di tale strutturazione sono la madre ed il suo modo di comunicare e comportarsi nei confronti del bambino, il padre e i suoi modi di interagire con lui, ed il complementare modello che il bambino costruisce di sé nell’interazione con ciascuno dei due. In altre parole, il bambino costruisce una personale immagine della madre e del padre (compresi i rispettivi modi che questi hanno di pensarlo) e di se stesso. Il modello di se stesso riflette l’immagine che i genitori hanno di lui, comunicatagli attraverso il modo in cui viene trattato e attraverso ciò che gli viene detto, ed è pertanto costituito da una rappresentazione di se stesso organizzata attorno alle aspettative di risposta delle figure di accudimento.

Persistenza e Cambiamento dei MOI
Per quanto riguarda lo sviluppo dei MOI, Bowlby fa riferimento alla teoria dello sviluppo senso-motorio di Piaget (1936) ed ai relativi processi di assimilazione (secondo il quale gli schemi comportamentali del bambino, inizialmente “vuoti”, necessitano dell’ambiente come nutrimento) e di accomodamento (che entra in gioco nel momento in cui il bambino fa degli sforzi per applicare lo schema) descritti dall’autore (Simonelli e Calvo, 2002). Attraverso le interazioni con l’ambiente, infatti, il bambino sviluppa una serie di schemi, all’interno dei quali possono essere incorporate esperienze; allo stesso tempo, gli schemi possono continuamente essere ridefiniti ed accomodati sulla base dei cambiamenti della realtà esterna, tra cui l’ambiente relazionale con la figura di attaccamento che muta col mutare dello sviluppo del bambino. Bowlby riteneva che nel corso dello sviluppo senso-motorio il bambino comprenda le relazioni nel contesto delle ripetute interazioni con le figure di accudimento. Secondo Bowlby, tali forme embrionali di rappresentazione di sé-con-l’altro mettono in grado il bambino di riconoscere gli schemi transazionali e quindi anticipare cosa la figura di attaccamento molto probabilmente farà. Con lo sviluppo della memoria rievocativa, essendo il bambino adesso in grado di capire che gli oggetti, genitori compresi, continuano ad esistere anche al di fuori del campo visivo, i modelli operativi cominciano a diventare intenzionali e possono cominciare ad essere usati per creare e valutare semplici piani di attaccamento, ad esempio cercare una figura di attaccamento (Bretherton e Munholland, 1999).

Nei primi anni di vita, dunque, i MOI sono relativamente aperti al cambiamento, in relazione al mutare della qualità dell’interazione con le figure di accudimento, ma nonostante le necessità di cambiamento, i MOI non possono neppure rimanere in una condizione continuamente fluttuante e già nel corso dell’infanzia cominciano a solidificarsi, fino a venir dati così per scontati che arrivano ad operare a livello inconscio (Bowlby, 1988), fino dunque a diventare tendenzialmente caratteristiche della personalità del soggetto, più che della relazione, così da rendersi disponibili nell’adolescenza e in età adulta come gamma di modelli gerarchicamente organizzati e riferiti a differenti aspetti della realtà (Hazan e Shaver, 1994).

Una prima resistenza al cambiamento viene costruita nel corso dei processi di assimilazione, ove la rappresentazione di precedenti transazioni influenza ciò che il bambino si aspetta dalla figura di attaccamento e, entro certi limiti, regola la percezione delle emergenti esperienze con questa. Di contro, modi di azione e pensiero che una volta erano sotto controllo tendono a diventare meno consapevoli e inaccessibili, poiché divengono abituali ed automatici, col guadagno di una maggiore efficienza, in quanto la richiesta di attenzione è minore, ma con la perdita di una certa flessibilità. In conclusione, il fatto che i modelli operativi e le aspettative individuali intervengano nelle interazioni relative all’attaccamento determina anche una certa stabilità.

Il cambiamento nei modelli operativi può determinarsi, ad esempio, quando un genitore precedentemente empatico, a causa di eventi personali, diventi ansioso o profondamente depresso, mancando di sensibilità nei confronti del figlio. Se ad esempio un genitore minaccia ripetutamente di abbandonare il bambino o di suicidarsi, così da scuotere la sua fiducia come base sicura, porta il bambino a ricostruire i modelli operativi di sé e dei genitori (Bowlby, 1973). Al contrario, se un genitore può diventare capace di rispondere più sensibilmente ai bisogni d’attaccamento del suo bambino, questo ricostruirà un modello operativo di sé valido ed uno complementare dei genitori disponibili e supportivi.

Poiché si ritiene che i MOI riflettano le interazioni esperite dall’individuo con le figure di accudimento, tali modelli in fase di sviluppo sono necessariamente complementari (Bretherton e Munholland, 1999). Infatti, “nel modello operativo di sé che ognuno costruisce, una configurazione chiave è proprio l’idea di come ognuno si senta accettabile o inaccettabile agli occhi delle proprie figure di attaccamento. Sulla struttura di questi modelli complementari sono basate le previsioni delle persone sul comportamento delle proprie figure di attaccamento, se saranno facilmente accessibili e responsive, se ritorneranno per dare aiuto” (Bowlby 1973, p. 203). È dunque dalla struttura di questi modelli che dipende la fiducia riposta dall’individuo nella figura di attaccamento, in termini di disponibilità. Un modello operativo di sé valido e competente è costruito nel contesto di un modello dei genitori disponibili emotivamente e materialmente supportivi nell’esplorazione. Di contro, un modello di sé svalutato e incompetente è la controparte di un modello operativo di genitori respingenti o indifferenti, o interferenti con l’esplorazione (Bretherton e Munholland, 1999).

Dalla Culla alla Tomba

Attaccamento nell’Infanzia
Benché la teoria dell’attaccamento sia nata con esplicito interesse ai primi anni di vita dell’essere umano, e più in generale dei mammiferi, Bowlby (1979) sosteneva che l’attaccamento è parte integrante del comportamento umano “dalla culla alla tomba” e dunque che il modello dell’attaccamento formatosi durante l’infanzia rimanga relativamente stabile durante lo sviluppo, strettamente vincolato ai primitivi MOI ormai consolidatisi.

Qualora venga data loro la possibilità, tutti i bambini normali si “attaccano” entro i primi otto mesi di vita (Rutter e Rutter, 1993). Il processo, che terminerà verso la fine del secondo anno di età, ha inizio nelle prime settimane con una vicinanza fisica molto stretta, mantenuta inizialmente da azioni dirette dalla figura di attaccamento e regolate dalle risposte riflesse del neonato (quali il pianto o l’aggrapparsi), per portare in poco tempo il bambino a stabilire un’associazione tra la figura di attaccamento ed il conforto e l’alleviamento dello stress. Di norma, verso gli otto mesi, coi tentativi di guadagnare una certa indipendenza di locomozione e con la comparsa della diffidenza verso tutto ciò che è estraneo, il bambino inizia a protestare alla separazione dalla figura di attaccamento e ad utilizzare quest’ultima come base sicura per l’esplorazione. L’angoscia da separazione è da considerarsi l’indicatore per eccellenza che il legame di attaccamento si è stabilito.

Sebbene la presenza di attaccamenti multipli sia normale, le figure di accudimento non vengono trattate allo stesso modo. Bowlby (1969/1980) utilizza il termine “monotropia” per indicare la tendenza a privilegiare una figura di attaccamento particolare tra le tante verso le quali si sono stabiliti dei legami di attaccamento, tendenza funzionale, dal punto di vista evolutivo, a garantire la sopravvivenza del piccolo. Dunque è normale che nel corso dello sviluppo si verifichino dei cambiamenti nella composizione e nella struttura della gerarchia degli attaccamenti, che vedrà la perdita di alcune persone e l’acquisizione di altre, struttura che, secondo Bowlby, non prevede la perdita delle figure genitoriali anche se queste possono, col tempo, passare ad assumere una posizione di secondo piano all’interno della stessa gerarchia, rispetto al partner di un legame affettivo sentimentale. Quando avvenga esattamente il passaggio dall’attaccamento cosiddetto complementare (genitoriale) a quello reciproco (tra pari) non è specificato nella teoria dell’attaccamento.

Attaccamento nell’Adolescenza
Nella prospettiva dell’attaccamento, l’adolescenza è un periodo di transizione. In questa fase della vita, il comportamento di attaccamento pare differenziarsi nettamente dai modelli di comportamento di attaccamento osservati in età precedenti. Gli adolescenti, infatti, sembrano spesso occupati in un attivo e intenzionale allontanamento dalla relazione coi genitori e con altre figure di attaccamento familiari. Tuttavia, la ricerca mostra che l’autonomia degli adolescenti si stabilisce non tanto a discapito della relazione coi genitori, quanto sulla base dell’aggiunta di un insieme di relazioni sicure, che dureranno con molta probabilità ben oltre l’adolescenza (Fraley e Davis, 1997). In questo contesto il sistema dell’attaccamento sembra giocare un ruolo integrale nell’aiutare l’adolescente ad affrontare le sfide maturative.

Fin dalla tarda adolescenza, infatti, è possibile costruire relazioni a lungo termine nelle quali i coetanei (come partner sentimentali o come amici molto stretti) servono veramente come figure di attaccamento, sotto ogni dimensione del termine. Questa non è dunque una fase in cui i comportamenti e i bisogni di attaccamento sono abbandonati, piuttosto è il periodo in cui questi sono gradualmente trasferiti ai coetanei (Allen e Land, 1999), presumibilmente ai partner sentimentali in prima istanza ed agli amici in seconda. Una recente ricerca (Roth e Parker, 2001) riporta che su un campione di 75 adolescenti, con età media 14.5 anni, il 53% delle ragazze ed il 32% dei ragazzi ha dichiarato di essere stato messo in secondo piano dall’amico (o dall’amica) del cuore, nel momento in cui questo era rimasto coinvolto in una relazione sentimentale.

Il trasferimento dei bisogni e dei comportamenti di attaccamento richiede una trasformazione da relazioni d’attaccamento gerarchiche (nelle quali si ricevono principalmente cure da chi le dà) a relazioni d’attaccamento tra coetanei (nelle quali si ricevono e si danno cure e sostegno), e una delle finalità di quest’ultime è proprio quella di favorire lo sviluppo delle relazioni sentimentali che possono divenire relazioni di attaccamento che durano tutta la vita. Sia il sistema di attaccamento che quello sessuale/riproduttivo, che in questa fase della vita inizia visibilmente a manifestarsi, spingono verso la costituzione di nuove relazioni tra coetanei, caratterizzate da adeguato fervore, interessi condivisi e forti emozioni, per iniziare ad assolvere alcune funzioni delle antecedenti relazioni genitore-bambino (Allen e Land, 1999). La componente sessuale di queste relazioni può anche aiutare a favorire la componente dell’attaccamento, fornendo motivazioni stabili ad interagire, l’esperienza di emozioni intense, intime, e una storia di un’esperienza unica e condivisa.

Attaccamento in Età Adulta
Una recente ricerca di Hazan e Zeifman (1999) ha tentato di indagare il problema del passaggio da attaccamento complementare a reciproco, attraverso due studi che si prefiggevano di sondare il comportamento d’attaccamento inizialmente nell’adolescenza, poi nell’età adulta. Nel primo studio, ad un campione di 100 partecipanti, compresi in un range di età tra i 6 e i 17 anni, è stata somministrata un’intervista approntata per l’occasione, che indagava dimensioni quali mantenimento della vicinanza, rifugio sicuro, angoscia da separazione e base sicura, con l’intento di rilevare eventuali differenze tra figure parentali e coetanei. Dall’analisi dei dati raccolti è emerso che quasi tutti i bambini e adolescenti erano orientati verso i coetanei per quanto riguarda la ricerca di vicinanza, cioè preferivano passare del tempo in compagnia dei coetanei piuttosto che dei genitori. Un chiaro cambiamento relativamente alla componente rifugio sicuro è emersa tra i partecipanti di età compresa tra gli 8 e i 14 anni, i quali hanno mostrato di preferire i pari ai genitori quale fonte di sicurezza e supporto emotivo. Per la maggioranza, i genitori continuavano ad essere utilizzati come base sicura e rappresentavano la prima causa di angoscia da separazione. Solo negli adolescenti più grandi, tra i 15 e i 17 anni di età, sono stati trovati veri e propri legami di attaccamento ai coetanei, ovvero relazioni con i pari che sembravano contenere tutte e quattro le sopraccitate dimensioni: mantenimento della vicinanza, rifugio sicuro, angoscia da separazione e base sicura.

Nel secondo studio, la stessa intervista è stata somministrata ad un campione di 100 adulti di età compresa tra i 18 e gli 82 anni, raggruppati in base allo stadio di sviluppo della relazione. Pertanto sono stati identificati tre gruppi: relazione non sentimentale, relazione sentimentale che dura da meno di due anni e relazione sentimentale che dura da più di due anni. I risultati di questo studio mostrano che gli adulti risultano essere chiaramente orientati verso i coetanei per quanto concerne il comportamento di ricerca di vicinanza e quello di rifugio sicuro. Ma i risultati relativi alle altre componenti variano in base allo stato della relazione: i partecipanti del gruppo relazione sentimentale che dura da più di due anni tendevano maggiormente a nominare il partner in risposta agli item riguardanti le dimensioni angoscia da separazione e base sicura; quelli con relazione di durata inferiore e quelli non coinvolti in una relazione sentimentale, invece, citavano i genitori quale base sicura e come primaria fonte di angoscia da separazione.

Sembra dunque che nel corso dell’ontogenesi vi sia un arco di tempo entro il quale le quattro dimensioni caratterizzanti l’attaccamento vengano gradualmente trasportate dall’ambito parentale a quello dei pari, per caratterizzarsi nuovamente a pieno in una relazione affettiva sentimentale. È impensabile, infatti, che tale processo avvenga all’improvviso, anche perché, a livello evolutivo, sembra opportuno assumere che abbandonare una relazione che assolve importanti funzioni di protezione, in modo che tali funzioni vengano assolte da un altro individuo, è un tentativo che comporta dei rischi. È immaginabile che gli attaccamenti verso i pari vengano esplorati a partire dalla funzione di base sicura offerta dai genitori (Shaver e Hazan, 1992), che gradualmente le altre tre componenti vengano trasferite ai pari e che la componente base sicura sia l’ultima ad essere trasferita.

È interessante sottolineare che i risultati del secondo studio sopra riportato lasciano intuire che la dimensione base sicura venga trasferita a persona diversa da una figura parentale esclusivamente nel caso in cui tale persona rivesta il ruolo di partner sessuale.

Stili di Attaccamento in Età Adulta
Tra i modelli attualmente esistenti in ambito di attaccamento adulto tra partner sessuali (attaccamento romantico) useremo quello di Bartholomew per la descrizione degli stili. Questo modello considera i quattro stili come risultanti dall’incrocio di due variabili bidimensionali, il modello di sé e il modello dell’altro, i cui livelli possono essere “positivo” o “negativo”. Così, ad esempio, un modello di sé positivo e dell’altro positivo identifica lo stile “sicuro”; un modello di sé positivo e dell’altro negativo identifica lo stile “insicuro evitante”; un modello di sé negativo e dell’altro “positivo”, lo stile “insicuro ansioso”; un modello negativo di sé e dell’altro, lo stile “disorganizzato”. Infine, giova precisare che in ambito adulto, le nomenclature degli stili hanno etichette diverse: preoccupato, assimilabile all’insicuro Ansioso, timoroso-evitante, assimilabile all’Evitante, disorientato, assimilabile al disorientato/disorganizzato. Solo l’etichetta dello stile sicuro rimane invariata.

Di seguito vengono rappresentati i quattro stili di attaccamento in età adulta, così come descritti da Bartholomew.

Sicuro: modello di sé positivo, modello dell’altro positivo. Basso evitamento, bassa ansia. Caratteristiche principali: alta coerenza, alta fiducia in sé, approccio positivo agli altri, alta intimità nelle relazioni. Il modello positivo che ha di sé, porta l’individuo Sicuro ad avere grande fiducia in se stesso. Davanti ai problemi, risponde in maniera flessibile, fronteggiandoli attivamente ed attivando strategie di coping che includono il rivolgersi all’altro come fonte di supporto. Il modello positivo che ha dell’altro lo porta ad apprezzare gli altri e ad essere caldo ed affezionato nei loro confronti. In generale una persona sicura avrà una relazione mutua con le altre persone, dalle quali generalmente vengono considerati tipi positivi. Le sue relazioni di coppia sono caratterizzate da intimità, vicinanza, mutuo rispetto, coinvolgimento e apertura emotiva. Sono in grado di risolvere i conflitti col partner in maniera costruttiva.

Preoccupato: (assimilabile all’insicuro Ansioso Ambivalente) modello di sé negativo, modello dell’altro positivo. Basso evitamento, alta ansia. Caratteristiche principali: preoccupazione per le relazioni, alta dipendenza dagli altri per l’autostima, elevato bisogno di relazione. Il modello negativo che l’individuo Preoccupato ha di sé lo porta ad avere bassa autostima e a tendere alla dipendenza dal giudizio degli altri. Quando si confronta con i problemi, reagisce in maniera forte o eccessiva dal punto di vista emotivo, e trova difficoltà nella loro risoluzione senza l’aiuto degli altri. Il suo impulso è quello di rivolgersi immediatamente all’altro nei momenti critici. Il modello positivo che ha dell’altro lo porta disperatamente alla ricerca di compagnia ed attenzione. Necessita costantemente di intimità nelle relazioni, tanto che la sua insaziabilità nella richiesta di attenzione ed approvazione tende a far allontanare gli altri. Tendenzialmente appare in conflitto con gli altri, in quanto ha la convinzione che l’altro non dia mai abbastanza, e di non essere mai giudicato per il proprio reale valore. Per l’individuo preoccupato le relazioni sentimentali sono di importanza critica. Si può dispiacere di non riuscire a trovare qualcuno con cui dividere la propria vita anche se sembra essere costantemente coinvolto in relazioni romantiche. Le sue relazioni sono costellate da picchi emotivi di rabbia, passione, gelosia e possessività. Tende a dare inizio ai conflitti, esprimendo apertamente i propri sentimenti e la propria insicurezza verso la relazione, ma allo stesso tempo tende a rimandare la rottura del legame, rimanendo così col partner nonostante i gravi problemi che egli stesso ha messo in rilievo.

Distanziante: (assimilabile all’Evitante) modello di sé positivo, modello dell’altro negativo. Alto evitamento, bassa ansia. Caratteristiche principali: bassa coerenza, svalutazione delle relazioni, evitamento dell’intimità, alta fiducia in sé e sicurezza compulsiva di sé. Il modello positivo che l’individuo Distanziante ha di sé lo porta ad avere alta fiducia in se stesso. Generalmente sembra non essere interessato al giudizio degli altri, anche se pensa di essere considerato arrogante, furbo, critico, serio, riservato. Il modello negativo che ha dell’altro lo porta a dare l’impressione di non apprezzare troppo le altre persone, apparendo talvolta cinico o eccessivamente critico, mantenendo costantemente dagli altri una distanza emozionale. Non è a proprio agio con gli affetti e non ricerca l’intimità, evitando attivamente di dare il supporto che gli altri possono chiedergli. Svaluta l’importanza delle relazioni, evita i conflitti interpersonali e sottolinea l’importanza dell’indipendenza, della libertà e dell’affermazione. Le relazioni di coppia del Distanziante sono caratterizzate dalla mancanza dell’intimità o della vicinanza e da una bassa apertura nella comunicazione, risultando meno coinvolto del partner. Tende a non mostrare affetto nelle relazioni e non si sente a proprio agio con le richieste di supporto o le manifestazioni di dipendenza del partner. Preferisce evitare i conflitti o altre manifestazioni emozionali e rapidamente si sente intrappolato o annoiato dalla relazione.

Timoroso-Evitante: (assimilabile al Disorientato/Disorganizzato) modello di sé negativo, modello dell’altro negativo. Alto evitamento, alta ansia. Caratteristiche principali: bassa fiducia in sé, evitamento dell’intimità causato dalla paura del rifiuto, conflitto tra il desiderio e la paura dell’intimità, elevata conoscenza di sé. Il modello negativo che l’individuo Timoroso ha di sé stesso lo porta ad avere bassa autostima, molte incertezze verso se stesso e gli altri. Questo modello negativo si rispecchia nell’altra dipendenza emozionale, alta gelosia, elevata ansia di separazione. Spesso si lamenta di non piacere agli altri o che questi lo vedano come noioso o non attraente. Il modello negativo che ha dell’altro lo porta ad evitare le richieste di aiuto, finché non sia certo di una risposta positiva. Evita i conflitti, di piangere davanti a gli altri, e di autorivelarsi perché impaurito dalla possibilità del rifiuto. Il Timoroso ha difficoltà nel fidarsi degli altri. Desidera il contatto con le altre persone, ma contemporaneamente sente di non esservi adeguato ed è estremamente sensibile ad ogni segno di rifiuto. Nelle relazioni è dipendente, e spesso si autodescrive come solo. Si lamenta di non riuscire a trovare il giusto partner o che non sarà mai desiderato da nessuno in futuro. È difficile trovarlo coinvolto in una relazione sentimentale e quando vi si trovi assume un ruolo passivo. Nelle relazioni sentimentali è decisamente dipendente ed insicuro e tende ad essere più coinvolto del partner. Tende ad autocolpevolizzarsi per i problemi della coppia ed ha difficoltà a comunicare apertamente e a mostrare i sentimenti al partner.

Conclusioni
Impariamo ad amare nei primi anni di vita, in un contesto relazionale altamente emotivo. Siamo circondati da persone che si prendono cura di noi ed è queste che impariamo ad amare, perché il sistema motivazionale innato dell’attaccamento ci porta a ricercare protezione. Ma chi si prende cura di noi ha il suo personale modo di amare, a sua volta appreso durante la propria infanzia, ed è inevitabile che il loro modo di trattarci, di farci sentire, ci “segni” in qualche modo. Così, da adulti in contesti relazionali altamente emotivi, come possono essere le relazioni sentimentali, vengono riattivati gli stessi modelli di interazione, perché i Modelli Operativi Interni, ormai si sono consolidati e veicolano la nostra conoscenza, la percezione dell’altro e le nostre aspettative circa il suo comportamento. Bowlby non ebbe modo di provarlo scientificamente in prima persona, ma la sua intuizione sulla persistenza dell’attaccamento attraverso gli anni fu veramente grande.

Fonte: Psicoterapia.it
Autore: Francesco Albanese

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