Allenare i figli alla felicità

In Psicologia Clinica, Psicologia Familiare by Centro PSY

Si dice che il mestiere del genitore sia il più difficile del mondo perché non ci sono corsi che possano insegnarlo e perché non esistono regole universali su come prendersi cura dei figli.

E’ quindi impossibile diventare dei buoni genitori?

La risposta è no! Si può diventare buoni genitori aiutando i propri figli a conoscere le EMOZIONI.

Le emozioni svolgono un ruolo fondamentale nella nostra vita. La capacità di riconoscere, di comprendere e di gestire in modo consapevole le proprie emozioni e quelle degli altri sono ingredienti indispensabili per diventare adulti felici e realizzati.

Il compito principale del genitore è quindi quello di aiutare i figli a sviluppare queste capacità, diventando “l’allenatore” della loro intelligenza emotiva.

L’intelligenza emotiva è determinata in parte dal temperamento, ovvero dai tratti di personalità innati, e in parte dalle interazioni dirette con i genitori e dal modello che essi offrono al bambino.

Cosa fa un allenatore emotivo?

L’allenatore emotivo è sensibile alle emozioni del bambino, anche a quelle più impercettibili, le sa riconoscere, ascoltare e attribuisce loro un valore. Le emozioni come la rabbia, la paura e la tristezza, rappresentano un’occasione di intimità e di crescita. Di fronte ad un’emozione di questo tipo, il genitore-allenatore non è confuso o sbrigativo e rispetta il figlio, non offrendogli soluzioni o distraendolo da ciò che sta provando.

Molti genitori liquidano le paure e le preoccupazioni del bambino come se fossero poco rilevanti. “Non c’è niente di cui aver paura” diciamo a un bambino di cinque anni spaventato dal buio della sua cameretta. Una risposta di questo tipo, che fornisce una spiegazione logica e razionale alla manifestazione di una comune paura infantile, impedisce al bambino di sentirsi ascoltato. La paura non scompare solo perché un genitore pensa che non ci sia una ragione valida per provarla. Inoltre, se diciamo a un bambino come deve o non deve sentirsi (“Non essere triste”, “Smettila di piangere”), egli perderà fiducia in ciò che prova e crederà meno in se stesso. I bambini hanno scarsa esperienza di vita e quindi potrebbero sentirsi sopraffatti da un’emozione senza sapere come uscirne. Noi ad esempio sappiamo che il dolore per la morte di un animale caro, per quanto intenso, è destinato a scemare fino a scomparire. Il bambino non lo sa, perché per la prima volta nella sua vita si trova a fare i conti con questa esperienza.

Se facciamo finta che un’emozione non ci sia o se la ignoriamo perché non siamo in grado di riconoscerla, essa non scomparirà. Sintomi di squilibri emozionali nei bambini possono manifestarsi attraverso il comportamento o i sintomi, come ad esempio il mangiare troppo, la perdita di appetito, gli incubi notturni, i dolori di pancia, il mal di testa, difficoltà di concentrazione o iperattività.

Le emozioni si “sciolgono” solo quando i bambini possono parlarne, dare loro un nome e sentirsi compresi.

Di fronte all’espressione della paura del buio, un genitore-allenatore potrebbe ad esempio dire: “Raccontami bene che cosa ti fa tanta paura”. Per fare questo il genitore deve mettersi nei panni del bambino, cioè sforzarsi di vedere il mondo dal suo punto di vista, e deve riconoscere che le esperienze negative possono rappresentare un’occasione per stare vicini al proprio figlio e per aiutarlo a crescere meglio. Se vediamo un valore nelle emozioni negative, abbiamo più pazienza e siamo più disponibili a trascorrere del tempo con un bambino che fa i capricci o che diventa aggressivo.

L’ascolto e l’empatia sono quindi due ingredienti fondamentali dell’allenamento emotivo. Il passo successivo è quello di fornire ai figli le parole per dare un nome a ciò che stanno provando. In questo modo potranno trasformare una sensazione amorfa, spaventosa e sgradevole in qualcosa di definibile, con dei contorni precisi, come tanti altri elementi della vita. La tristezza, la paura, la rabbia non saranno più dei “mostri enormi”, ma delle esperienza comuni delle quali è possibile parlare e che possono essere gestite.

Un bambino molto arrabbiato potrebbe diventare aggressivo e picchiare il compagno di banco, oppure un altro bambino triste potrebbe piangere in maniera disperata senza sapere come fare a calmarsi o a confortarsi.

Dobbiamo ricordarci che tutte le emozioni sono accettabili e hanno ragione di esistere, ma non tutti i comportamenti lo sono. I bambini e i ragazzi devono perciò capire che il problema non è nei sentimenti, ma nei comportamenti “usati” per esprimerli. Sarebbe però inutile punire o bloccare un comportamento senza comprendere quali emozioni vi sono dietro.

Quindi, dopo aver scoperto come si sente e quali problemi hanno provocato una sensazione spiacevole, i bambini devono capire che cosa possono fare. Il genitore allora dovrà fornirgli una guida per trattare i sentimenti, per trovare un modo appropriato per padroneggiarli, ponendo dei limiti a comportamenti eccessivi o dannosi . Dire ad un ragazzo che ha ragione a sentirsi così ma che ci sono modi migliori per esprimerlo, lo aiuterà ad avere fiducia in se stesso e a percepire un senso di controllo sulla propria esistenza.

E’ importante astenersi da un intervento pressante. Il genitore-allenatore non si sente obbligato a sistemare ogni cosa che non funziona nella vita dei figli, anche se può essere difficile osservare a distanza e senza intervenire un figlio mentre si destreggia tra i problemi. Affinché un bambino e un ragazzo si sentano efficaci e soddisfatti delle conclusioni a cui giungono, è necessario incoraggiarli a generare da soli delle idee e delle ipotesi, sempre nel rispetto della loro età. A volte, quando non ci sono soluzione, come ad esempio per la morte di un animale o di una persona, l’obiettivo può essere quello di riuscire ad accettarne la perdita.

L’importanza di avere un modello

L’allenamento emotivo avviene anche attraverso l’esempio. I genitori dovrebbero rappresentare dei modelli per i figli e non temere di mostrare le proprie emozioni. Possono diventare tristi, piangere, arrabbiarsi, perdere la pazienza e preoccuparsi, perché hanno confidenza con le loro emozioni e perché non ne vengono sopraffatti. Sanno mettere in luce in chiave positiva anche le emozioni considerate spiacevoli. Riconoscono, ad esempio, l’utilità della tristezza, come occasione per rallentare e per prestare più attenzione a se stessi e a quanto accade nella propria vita. Per un figlio vedere il genitore che intraprende una discussione accesa e poi risolve amichevolmente le divergenze rappresenta una grande occasione di crescita, una lezione sulla possibilità di gestire i conflitti preservando i legami affettivi. Ovviamente, perché tutto ciò avvenga, è necessario che i genitori stessi abbiano sviluppato a loro volta una buona intelligenza emotiva.

Quali sono i vantaggi dell’allenamento emotivo?

I bambini e i ragazzi allenati emotivamente sono figli più flessibili ed elastici. Anche loro provano la tristezza, si arrabbiano o si spaventano in circostanze difficili, ma hanno maggiore capacità di ritrovare la calma, la serenità e di riprendersi dai fallimenti. Il genitore non li ha protetti dallo sperimentare emozioni spiacevoli, dal soffermarsi in situazioni emotivamente pesanti, ma li ha accompagnati in questo percorso. Grazie a questa esperienza, i figli hanno imparato a regolare i propri sentimenti, a fidarsi di se stessi e a risolvere i propri problemi. Possiamo quindi dire che l’intelligenza emotiva non impedisce ai figli di soffrire, ma rappresenta una difesa e una risorsa contro gli eventi della vita.

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