Intelligenza emotiva e successo nel lavoro

In Psicologia Clinica, Psicologia del Lavoro by Centro PSY

Per avere successo nella vita in genere e nell’ambito lavorativo in particolare, non è sufficiente disporre di un elevato Quoziente Intellettivo o essere competenti da un punto di vista professionale; occorre anche poter disporre di quella che Daniel Goleman chiama intelligenza emotiva. Quest’ultima si fonda su due tipi di competenza, una personale – connessa al modo in cui controlliamo noi stessi – e una relazionale, legata al modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri. Di seguito verranno illustrate le singole componenti di ciascuna delle due competenze e le loro ripercussioni sul contesto lavorativo.

Se ci dovessero chiedere di elencare i fattori che portano un individuo ad avere successo nella vita in genere, e sul lavoro in particolare, probabilmente ai primi posti della lista metteremmo un’intelligenza vivace, una carriera scolastica brillante, precise competenze professionali e, probabilmente, alcuni fattori legati alla sorte, come ad esempio il far parte di una classe sociale abbiente, l’avere un aspetto fisico avvenente e l’essersi imbattuto in circostanze fortuite del tutto favorevoli.

Tutto vero, ma non basta. Pensiamo ad esempio ad una persona con una straordinaria intelligenza, brillante dal punto di vista accademico, competente sul piano lavorativo, ma arrogante, irascibile, incapace di trattare con le altre persone e di gestire le proprie emozioni: nonostante le sue competenze professionali e la sua intelligenza, non siamo affatto sicuri che avrà successo nella sua carriera professionale. Da questo punto di vista possiamo dire che, se per accedere ad una determinata professione spesso appaiono prerequisiti importanti l’essere qualificati come persone intelligenti, avere un titolo di studio conseguito a pieni voti, mettere in campo una competenza professionale di prim’ordine, per mantenere e facilitare una carriera lavorativa sono necessarie anche altre caratteristiche.

Quali sono? Daniel Goleman, in una fortunata pubblicazione, le raggruppa sotto il termine di intelligenza emotiva e le qualifica come un modo particolarmente efficace di trattare se stessi e gli altri.

Tra queste caratteristiche rientrano ad esempio:

• la capacità di motivare se stessi e di continuare a perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni;

• la capacità di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione;

• la capacità di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare;

• la capacità di essere empatici e di sperare.

Più in generale, alla base dell’intelligenza emotiva ci sono due grosse competenze:

• una competenza personale , legata al modo in cui controlliamo noi stessi

• una competenza sociale , legata al modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri.

Entrambe le competenze sono caratterizzate da abilità specifiche. In particolare, alla base della competenza personale troviamo la consapevolezza, la padronanza di sé e la motivazione; alla base della competenza sociale troviamo invece l’empatia e le abilità nelle relazioni interpersonali.

Le abilità alla base della competenza personale

La consapevolezza di sè.
Implica innanzitutto la capacità di riconoscere le proprie emozioni dando loro un nome In genere quando qualcosa non va – il lavoro non riesce, i colleghi non ci capiscono, non ci considerano o peggio ci sfruttano – l’emozione prevalente è la rabbia. A ben guardare la rabbia è una emozione secondaria, cioè l’espressione di qualcosa che sta più a fondo e che può essere di volta in volta delusione, sconforto o anche paura. Dare il nome giusto a ogni emozione significa già esercitare una prima forma forma di contenimento, di controllo.
In secondo luogo la consapevolezza di sé comporta un’autovalutazione accurata delle proprie risorse interiori , delle proprie abilità e dei propri limiti e quindi porta sia alla percezione del proprio valore e delle proprie capacità, sia ad una sana fiducia in se stessi. Su queste basi sarà poi possibile proporsi con fermezza quando si tratta di mettere in evidenza i propri punti di vista, i propri diritti o di dar voce a opinioni impopolari ma giuste.

La padronanza di sé.
Seppur vada intesa principalmente come autocontrollo, quindi come capacità di dominare le emozioni , non implica assolutamente la soppressione, il soffocamento o la negazione delle stesse. Da questo punto di vista se tutte le emozioni sono permesse, non tutte possono essere espresse. Infatti se non siamo responsabili dei nostri sentimenti, di ciò che proviamo interiormente di fronte a comportamenti o avvenimenti, siamo però responsabili per il modo in cui decidiamo di esprimerli. In questo senso, essere dotati di intelligenza emotiva significa essere in grado di gestire i propri sentimenti, essere quindi capaci di controllarli ed esprimerli in modo appropriato ed efficace . Spesso la ragione per cui molte persone non esprimono appieno il loro potenziale risiede in una loro incompetenza emotiva, cioè in una incapacità di gestire le proprie emozioni. In effetti, non è raro il caso in cui, pur essendo intelligenti si agisce da stupidi sull’onda di un’emotività incontrollata, a volte impedendo, in tal modo, una collaborazione serena e finalizzata al raggiungimento di obiettivi comuni. Viceversa chi è padrone di sé è maggiormente in grado di comportarsi con onestà, agendo eticamente, nel rispetto delle regole, adoperandosi per costruire un clima di affidabilità e autenticità, ammettendo i propri errori e assumendosi le proprie responsabilità per quanto attiene alla propria prestazione, al rispetto degli impegni e all’attenzione al compito. Il concetto di padronanza di sé potrebbe evocare l’intransigenza, la rigorosità assoluta: non è così; implica piuttosto uno spirito di innovazione e adattabilità, cioè l’essere aperti a nuove idee e approcci nuovi, alla ricerca e valutazione di soluzioni originali, all’assunzione di prospettive inedite senza lasciarsi paralizzare dal timore del rischio. Non è la semplice ricerca del nuovo fine a se stesso – nuovo non è sinonimo di migliore – o il lasciarsi guidare dalle mode, ma l’essere flessibili alle richieste di cambiamento poste dalle nuove circostanze adottando risposte e strategie adeguate; essere padroni di sé significa anche saper riconoscere i bisogni e innescare o gestire il cambiamento.

La motivazione.
E’ data dall’insieme delle tendenze emotive che guidano, sostengono o facilitano il raggiungimento di obiettivi. La motivazione comporta sia la spinta alla realizzazione personale – connessa al cercare la propria soddisfazione proponendosi obiettivi stimolanti, orientandosi al risultato, e coltivando l’impulso a migliorare le proprie prestazioni – sia l’impegno nel dare senso e sostegno anche ad un eventuale lavoro d’équipe. La motivazione è sorretta da uno spirito di iniziativa che consiste in una tensione all’obiettivo, al di là di quanto viene prescritto e degli impedimenti burocratici, e nella prontezza a cogliere le opportunità. In ultimo la motivazione è caratterizzata da una buona dose di ottimismo inteso sia come capacità di essere costanti nel perseguire gli obiettivi al di là degli ostacoli incontrati e degli errori commessi, sia come capacità di puntare sulla speranza di successo e non sulla paura del fallimento. Una solida competenza personale con la conseguente capacità di individuare correttamente i propri sentimenti e bisogni, consente anche di mettersi in sintonia con i sentimenti degli altri. Questa è la radice prima dell’empatia, cioè della capacità di comprendere gli altri nei loro sentimenti, punti di vista, interessi, preoccupazioni, mediante un ascolto attivo.

Le abilità alla base della competenza sociale

L’empatia.
E’, come già detto, insieme alle abilità nelle relazioni interpersonali, alla base di una delle due grosse competenze su cui si fonda l’intelligenza emotiva nell’ambito della competenza sociale.
Essere empatici significa far risuonare dentro di sé i sentimenti degli altri come se fossero i propri e senza dimenticare i propri, in una sorta di vicinanza senza confusione. E’ l’accettazione incondizionata degli stati d’animo così come vengono offerti nella relazione. Non si può discutere o negoziare il modo in cui gli altri provano un’emozione. Possiamo discutere o disapprovare i comportamenti, ma non le emozioni sottostanti. Nell’essere empatici, accanto alla condivisione dei sentimenti, c’è anche la valorizzazione degli altri, che si manifesta nel credere nelle persone, nel mettere in risalto e potenziare le loro abilità, nel sostenere la loro autonomia, nel rispettare le loro diversità individuali, etniche e ideologiche, nell’utilizzare le differenze come opportunità al di là di ogni pregiudizio.

La comunicazione .
In conclusione, si può affermare che non esiste solo un’intelligenza di tipo cognitivo, ma ne esiste un’altra, di pari importanza, di tipo emotivo – relazionale, che ci consente di capire meglio noi stessi e di interagire in modo più efficace con gli altri. In questo senso è pertanto facile comprendere come per avere successo nella vita in genere e nell’attività professionale in particolare, non sia sufficiente avere un elevato Quoziente Intellettivo o essere competenti da un punto di vista professionale, ma occorra disporre anche di una intelligenza emotiva che ci consenta di essere competenti anche da un punto di vista relazionale.

Autore: E. Maino
Fonte: benessere.com

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