L’anoressia nervosa nei maschi

In Psicologia Clinica by Centro PSY

L’anoressia, chiamata anche anoressia nervosa, è un disturbo del comportamento alimentare dalle origini nosografiche molto antiche. Da sempre, è stata considerata una patologia riguardante esclusivamente le donne, a causa della predominante incidenza nella popolazione femminile e una rarità di casi in quella maschile. Storicamente gli stessi criteri utilizzati per la diagnosi d’anoressia nervosa e i principali strumenti impiegati per lo studio della patologia, sono stati standardizzati su campioni femminili, rendendo ancora più difficile e controversa la collocazione diagnostica di casi maschili, spesso ricondotti ad una secondarietà ed ad altre patologie. Nonostante l’apparente assenza di letteratura sui disturbi del comportamento alimentare nei maschi, bisogna ricordare gli studi del medico britannico Richard Morton che, nel 1689, fece la prima diagnosi d’anoressia su due pazienti, un maschio di 16 anni e una femmina di 18 che rifiutavano di alimentarsi in assenza di cause organiche. Il medico descrisse così il caso:
“Il figlio del reverendo Steele, mio buon amico, intorno al sedicesimo anno di età, cadde gradualmente in un assenza totale di appetito –cagionata dal suo troppo studiare e dalle sue passioni del suo spirito-, e in seguito in un’ Atrofia Universale, struggendosi via via sempre di più per due anni, senza che vi fossero febbre, tosse o altro sintomo di qualsiasi altra malattia nei suoi Polmoni o altro viscere, anche senza diarrea o Diabete o altro segno di col liquazione o evacuazione innaturale.

Perciò giudicai questa consunzione come Nervosa, come cosa che avesse le sue radici nell’abito del suo corpo e che sorgesse da una perturbazione del suo Sistema di Nervi.

Lo consigliai di abbandonare i suoi studi, di andare in campagna e di prendere una dieta di latte per molto tempo. Così recuperò la sua salute in gran parte,sebbene non sia ancora liberato a perfezione dallo stato di Consunzione e che non sia del tutto chiara la riuscita di questo metodo”.
La patologia alimentare colpisce oggi, come in passato, anche gli uomini, sebbene se ne parli molto meno. Lo scopo del seguente lavoro, è quello di esplorare la patologia negli uomini, cercare di capire le cause che sono alla base dello sviluppo del disturbo. Appare opportuno focalizzare l’attenzione a diversi aspetti, quali: le caratteristiche cliniche, l’incidenza e l’età d’esordio, la comorbidità con altri disturbi, gli aspetti biologici- genetici ed ormonali, la sessualità e l’identità di genere, lo sviluppo psicosessuale, le condotte compensatorie e di mantenimento, i fattori prognostici, la mortalità, le relazioni all’interno del nucleo familiare e il trattamento adoperato con pazienti con tale disturbo.

Diagnosi e caratteristiche cliniche
Da recenti studi emerge che il 5-10% di pazienti che soffrono d’anoressia nervosa sono di sesso maschile. Gli uomini affetti da tale disturbo presentano una sintomatologia più grave rispetto alle donne; questi sono afflitti da maggiori preoccupazioni inerenti il cibo, il peso e l’alimentazione in genere. Ricorrono, più delle donne, a sotterfugi per non mangiare e abusano maggiormente di purganti; presentano una maggiore gravità nei disturbi della sfera psicosessuale, una maggiore tendenza all’iperattività, alla sintomatologia ossessiva e hanno alterazioni fisiologiche di maggior gravità. Nei maschi, è più difficile fare una diagnosi d’anoressia, in quanto il criterio diagnostico dell’amenorrea, indice nelle donne di una condizione di malnutrizione prolungata, non può essere utilizzato per ovvie ragioni nei maschi; allo stato attuale, non esiste però, un valido parametro comparativo per il sesso maschile. Alcuni autori, propongono d’indagare sulla perdita d’interesse sessuale, su episodi d’impotenza e sull’abbassamento del livello di testosterone. Gli uomini affetti da tale disturbo, arrivano ai servizi di cura con alterazioni fisiche più gravi rispetto alle donne, riportano soprattutto complicanze cardiache e atrofie corticali causate da una condizione di malnutrizione e da una scarsa attenzione da parte dei medici, che non di rado, associano tale disturbo ad altre patologie.

Non bisogna tralasciare l’aspetto psicologico, l’essere colpiti da una patologia considerata “ tipicamente femminile “ fa posticipare la richiesta di cura, ed è causa di sentimenti di vergogna e imbarazzo.

Analogamente alle donne, la sindrome, si riscontra in giovani che sembrano dare buona prova di sé, che lottano disperatamente per diventare “ qualcuno”, ed acquisire un’identità. Si tratta d’individui eccessivamente ambiziosi, iperattivi e perfezionisti. Il rifiuto del cibo, e il dimagrimento, sono strumenti di cui si avvalgono per attirare l’attenzione su se stessi e sul loro disagio. Da uno studio condotto da Kearney e Cooke (1990), emerge che un alta percentuale di giovani afflitti da disturbo del comportamento alimentare, dichiara di aver avuto relazioni negative nei confronti dei loro coetanei. Questi sostengono, di avere avuto meno possibilità di altri di entrare in una squadra sportiva e riferiscono di essere stati presi in giro per il loro corpo in un periodo in cui provava vergogna della loro fisicità. Vandereycken e Van de Broucke (1984) affermano che gli uomini anoressici hanno un’alta incidenza di tratti schizoidi (30%), ossessivi(29%), passivi/dipendenti(15%) e antisociali(18%). Un confronto con donne anoressiche mostra un alta percentuale d’immaturità (30% contro 4%), tratti isterici/istrionici (25% contro 4%) e tratti antisociali (18% contro 1%) ma un ugual numero di tratti schizoidi (28%). Il tipico uomo anoressico è un soggetto depresso, ipersensibile, con forti sensi di colpa e scarsa autostima. Uomini con disturbi del comportamento alimentare presentano inoltre: problematiche nei rapporti familiari, incapacità di affrontare i problemi e le relazioni interpersonali, disturbi dell’umore, scarsa consapevolezza degli stimoli corporei, bassa autostima, ansia d’accettazione sociale e tratti ossessivi. Alcuni studi (Middleman, AB.,et al. 1998), soffermano l’attenzione a come l’uomo anoressico sia più interessato ad un fisico muscoloso che al dimagrimento. Inoltre, i maschi, presentano minor condotte eliminatorie rispetto alle femmine, sia in riferimento all’uso di lassativi che a quello di pillole dimagranti e nel vomito autoindotto; hanno invece, rispetto a quest’ ultime, una più intensa attività fisica. Hanno probabilità maggiore di sviluppare un disturbo del comportamento alimentare, uomini che praticano sport ad alti livelli, in questi individui sono presenti tratti di perfezionismo, alte aspettative e una certa compulsività (Serdula, MK., et al. 1998). Tra gli uomini più vulnerabili a sviluppare il disturbo ci sono, infatti, alcune categorie sportive come quelle degli atleti, dei body builders, dei ballerini, dei nuotatori ed altri; il loro lavoro presuppone, infatti, forti restrizioni. Yates (1983) in un suo studio, confronta due gruppi, uno di maschi anoressici e uno di maratoneti, e trova similitudini in caratteristiche di personalità e abitudini socioculturali. I maratoneti hanno una bizzarra preoccupazione per il cibo anche quando raggiungono una massa corporea del 95% con solo il 5% di grasso, sono insoddisfatti. Altra categoria cui bisogna soffermare l’attenzione è quella degli obligatory runners (corridori compulsivi), questi individui, praticano un’intensa attività fisica, non per il piacere di farlo, ma perché non riescono a farne a meno. Svolgono tale attività anche con situazioni climatiche avverse, quando hanno dolori fisici, fratture o pneumopatie che controindicherebbero il correre.

Se prendiamo in considerazione la categoria dei pugili, alcuni studi constatano che la loro perdita di peso può oscillare tra 2 e 12% entro le 2 o 48 ore prima della competizione. Fanno uso di diuretici e saune, evitano di mangiare e di bere e hanno cicli di perdita di peso che possono ripetersi fino a trenta volte a stagione. Brownell (1987) osserva come il tasso metabolico nei pugili con tali cicli di dimagrimento, sia del 14%, perciò la diminuzione del peso avviene più lentamente, mentre l’aumento più rapidamente, il che li porta ad avere maggiore difficoltà nel perdere peso con il proseguire della loro carriera.

L’immagine mediatica dell’uomo ideale, non è incentrata sulla magrezza, bensì sulla forma fisica e i muscoli a tutti i costi. Nemeroff ed altri (1994), focalizzano l’attenzione sui messaggi mediatici indirizzati agli uomini e a come questi enfatizzino l’uomo con un corpo muscoloso in quanto stereotipo di forza e virilità. Di Domenico e Andersen (1988), soffermano la loro attenzione a come i giornali indirizzati alle donne includano principalmente articoli e avvertimenti su come aiutare a perdere peso (per esempio diete con il conteggio delle calorie), mentre a come i giornali indirizzati agli uomini, diano maggior spazio a consigli sulle tecniche d’allenamento e di sviluppo del tono muscolare (ad esempio fitness, body building e tonificazione dei muscoli). Infatti, nel maschio prevale l’idea di grandezza, mentre nelle femmine il desiderio d’essere minuta (Crips, AH., & Burns, T., 1983).

Incidenza ed esordio
Rispetto alla popolazione generale la percentuale di maschi afflitti d’anoressia sarebbe di 0,5% – 0,1 %, contro 1% delle donne. Il rapporto è quindi di 1 a 10. Recenti studi, rilevano un’incidenza più significativa nell’anoressia maschile se si considerano le sindromi parziali, che sembrano essere più frequenti di quelli totali.

D’anoressia parziale se ne parla quando vi è la presenza inequovacabile, estrema ed irrazionale d’ansia legata al proprio peso corporeo o alla forma fisica, e la concomitante presenza di almeno due dei seguenti criteri per almeno per un periodo di tre mesi:
Distrazione dagli impegni quotidiani a causa di preoccupazioni o ansia legata al peso corporeo;
Credenza ingiustificata che il peso sia eccessivo e che il malessere soggettivo possa essere diminuito con perdita di peso, con il controllo delle calorie assunte e/o pesandosi frequentemente;
Ansia causata dall’assunzione di pasti considerati in genere normali;
Estrema angoscia causata dalla minima variazione di peso corporeo, esercizio fisico, uso di lassativi, anoressizanti emetici e diuretici.
Il disturbo, negli uomini, è notevolmente aumentato negli ultimi anni; i casi maschili spesso sono diagnosticati con maggiore difficoltà, anche perché un maschio che si abbuffa a tavola è accettato socialmente, a differenza di quanto accade per la donna, inizialmente quindi non si tiene conto della gravità della patologia. Tutto questo fa si che in media un maschio affetto da disturbi del comportamento alimentare, arrivi in terapia dopo 7 anni dall’esordio del problema, mentre per le donne il tempo di latenza è di 4 anni. L’età d’esordio del disturbo nei maschi è collocabile nella tarda adolescenza – prima età adulta (19- 20 anni), risultato simile al campione femminile; in alcuni studi si delinea la tendenza ad un esordio più tardivo e una durata inferiore del disturbo nella popolazione maschile. Da uno studio di Carlatt, Camargo ed altri, (1997), emerge che 135 dei pazienti afflitti dal disturbo per la prima volta, ha in media un’età di 19 anni. Altri studi, invece, parlano di un esordio nei maschi in un’età compresa tra 17-24 anni ( le donne invece tra i 15-18 anni), un’età nella quale si è profondamente impegnati nello sviluppo della propria identità e tutto l’agire ed il pensare è finalizzato al divenire adulto.

Comorbidità

Sembra che ci sia una certa correlazione tra disturbi del comportamento alimentare e disturbi dell’asse I e II del DSM – IV. Dal Test di Rorschach, in uno studio condotto su un campione di 10 maschi anoressici d’età compresa tra 13 e 24 anni, si osserva che individui con tale patologia hanno compromissioni nella funzione primaria dell’Io, coartazione, inadeguatezza a controllare l’affettività associata e un controllo autosufficiente. Si riscontra, in questi individui, tratti ansioso- depressivi, tratti disforici, ed una forte angoscia nei confronti del proprio corpo. Tutte queste caratteristiche sono presenti, in percentuale maggiore, in individui del gruppo anoressico, rispetto a quelli del gruppo di controllo (Di Pentima, L., et al., 2001).

Altri studi (Striegel-Moore, RH. et al., 1999) pongono l’attenzione all’associazione esistente, negli uomini, tra disturbi del comportamento alimentare, depressione, disturbi psichiatrici e abuso di sostanze.

Rispetto alle donne, si riscontra una percentuale più bassa di disturbi di personalità, e più alta del disturbo ossessivo- compulsivo. Altri studiosi (Ross, HE. et al., 1999 & Benedict, J., et al., 1999), pongono l’attenzione a come gli individui anoressici abusano frequentemente di sostanze stupefacenti, alla bassa autostima e alla sintomatologia depressiva.

A conferma di queste ipotesi altri studiosi, Carlat e Camirgo nel 1997, sostengono che in individui anoressici di sesso maschile ci sia un’alta percentuale di: depressione (55% dei casi), abuso di sostanze (17%), disturbi di personalità del Cluster A- B –C (24%), disturbo di dipendenza da alcool (14%) e un’alta iperattività.

Fassino ed altri (2001), prendendo in esame 15 maschi anoressici, rivelano l’esistenza di una comorbidità tra anoressia nervosa negli uomini e disturbi psichiatrici, non poi cosi dissimile dal campione delle donne, ma molto più alta rispetto alla popolazione generale. A conferma di questi risultati, Woodside ed altri (2001), osservano che un’alta percentuale di comorbidità nei maschi del gruppo d’anoressici rispetto a quelli del gruppo di controllo, con disturbi psichiatrici; anche nel loro studio non emerge una gran differenza rispetto al campione delle donne. Sembra quindi esista, una certa relazione, tra l’avere, un disturbo del comportamento alimentare e la possibilità di sviluppare un disturbo psichiatrico. Dagli stessi studi, emerge che il sovrappeso è il fattore che più incide sullo sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare e nello specifico sull’anoressia; infatti, molti uomini anoressici, nel resoconto della loro storia pregressa, narrano di essere stati in sovrappeso e di essere stati derisi per questo da parte dei pari e dei familiari. Il BMI pre – esordio della malattia raggiunge nei maschi anoressici un valore di 27,2 contro il 24,3 nelle donne. In uno studio di Fernandez- Aranda del 2004 su 30 maschi con disturbo del comportamento alimentare, il 45% dei maschi, riferisce in passato di aver sofferto d’obesità, contro il 15% delle donne.

Aspetti biologici, ormonali e genetici
Da diversi studi risulta che ci sia una maggiore probabilità di sviluppare la patologia anoressica, in individui di sesso femminile che in quelli di sesso maschile, rispetto alla popolazione generale. Nelle famiglie di maschi con disturbo del comportamento alimentare, si riscontra, nell’anamnesi familiare, la presenza di casi femminili con tale disturbo facendoci varare l’ipotesi che la malattia non si trasmetta preferenzialmente a parenti dello stesso sesso (il 14% di maschi anoressici aveva in famiglia una parente con disturbo del comportamento alimentare). L’incidenza, di una base genetica, nello sviluppo del disturbo, non vede sostanziali differenze tra il campione femminile e quello maschile.

Per quanto concerne gli aspetti ormonali, se nelle femmine, l’aspetto più rilevante da tale punto di vista è l’amenorrea, negli uomini è la diminuzione del testosterone e delle gonadotropine (GN) in un quadro d’ipogonadismo ipogranatropico. Diminuisce nei maschi, a differenza delle femmine, la risposta dell’ormone rilasciante le gonadotropine (GNRH).

Nei maschi iponutriti, si riscontra un aumento di globulina legante il testosterone (SHBG), con una correlazione inversa con il BMI e diretta con la perdita di peso. Il livello di testosterone (T) diminuisce, in conseguenza di un minor apporto proteico e alla diminuzione nella sintesi ormonale o ad una diminuzione nella riserva funzionale delle GN per alterazioni ipotalamo- ipofisarie. Da uno studio condotto su uomini che seguivano una dieta ipocalorica, emerge una sostanziale diminuzione degli ormoni sessuali e delle gonadotropine; da uno studio condotto da Tomova, risulta invece, che le GN negli uomini non siano implicate con la perdita di peso e con il BMI. Nelle femmine, al contrario, l’ormone luteinizzante (LH) correla in modo diretto con il BMI ed inversamente con l’entità della perdita di peso, l’ormone follicolo stimolante (FSH) in modo diretto con la durata della malattia.

In uno studio longitudinale su tre maschi anoressici, seguiti fino al recupero, emerge l’esistenza di una stretta connessione tra livelli di leptina e GN e T. Durante il recupero del peso e del grasso corporeo, s’ipotizza che la leptina sia un segnale che il tessuto adiposo regoli la secrezione delle GN, la funzione gonadica, influenzando di conseguenza la fertilità. I maschi, con anoressia nervosa, hanno bassi livelli di testosterone che comportano problematiche nella sfera sessuale e più specificatamente in un calo sia del desiderio che dell’attività. Una prolungata condizione di malnutrizione, comporta una diminuzione dello sperma, pari al 25% di quello del peso corporeo; quando si recupera il peso, c’è un conseguente aumento del livello di T negli uomini e di LH nelle donne e un conseguente aumento del livello di leptina.

Bisogna focalizzare l’attenzione anche su di un importante neurotrasmettitore, la serotonina ( implicato nella regolazione del tono dell’umore, dell’ansia, dell’impulsività, delle sensazioni di fame e sazietà); nelle persone che seguono una dieta ipocalorica e in seguito a prolungate condizioni di malnutrizione, la produzione di serotonina diminuisce causando una conseguente diminuzione del tono dell’umore, una maggior irritabilità, un aumento del rischio dell’umore depresso, d’atti impulsivi e crisi di fame. Favaro (1996), in uno studio, dimostra che la riduzione del livello di serotonina, a seguito di una restrizione calorica, è molto presente in persone con disturbi del comportamento alimentare, con una prevalenza nell’universo femminile rispetto a quello maschile.

Identità di genere e sessualità
Negli uomini con anoressia nervosa e disturbi del comportamento alimentare, si riscontra una difficoltà nell’attività sessuale, perché, come già detto, una condizione di malnutrizione prolungata è alla base di una diminuzione del livello di testosterone. In uno studio condotto da Fichter, il 30% dei soggetti esaminati, riferisce di non avere impulsi sessuali e il 75%, una riduzione della libido; inoltre riportano sentimenti d’ansia eccessiva di fronte a comportamenti sia etero che omosessuali (Fichter, MM., et al., 1985). Nell’80% dei casi, il sesso era un tabù nell’ambiente familiare, e solo il 30% del campione esaminato riferisce di aver avuto almeno una relazione stabile. Quindi, le problematiche si estendono sia alla sfera sessuale che a quella sociale. Un aspetto di rilevante importanza riguarda l’orientamento sessuale: il 65% dei soggetti esaminati, dichiara di aver avuto comportamenti tipici del sesso opposto durante l’infanzia e l’adolescenza, ed il 20% di aver desiderato di essere una femmina.

Sembra che l’anoressia nervosa sia prevalente negli omosessuali, in quanto questi hanno una minore soddisfazione per il proprio corpo e una maggiore attenzione al peso corporeo (Kotler, LA., et al. 2001). Nel complesso gli omosessuali, rispetto agli eterosessuali, ricorrono più frequentemente a diete ipocaloriche (9% contro 6%), condotte compensatorie quali vomito autoindotto (21% contro 6%), uso di lassativi (22% contro 4%), pillole dimagranti (19% contro 4%). Risultati opposti, sono riportati da uno studio di Austin (2004), in cui nessuno dei maschi omosessuali e bisessuali riporta condotte d’eliminazione.

Negli omosessuali si osserva l’esistenza (French, SA., et al., 1996) di maggiori abbuffate (25% contro 11%) e minor soddisfazione per il proprio corpo (28% contro 12%); questi e gli uomini con sessualità incerta, si mostrano maggiormente interessati al peso e all’apparenza, e sono meno soddisfatti del proprio peso corporeo e dell’aspetto fisico. Sono più influenzati dai modelli mediatici, meno focalizzati allo sviluppo muscolare e hanno una prevalenza di sentimenti d’inadeguatezza. Gli omosessuali sono quindi più a rischio di sviluppare un disturbo del comportamento alimentare del 15-20%, rispetto alla popolazione generale.

Carlat e Camargo (1997), pongono l’accento a come il 58% dei soggetti del loro studio, affetti da anoressia da almeno un anno, riferisce un calo del desiderio sessuale con una conseguente diminuzione dell’attività sessuale. Manghweth, Bramon- Bosch ed altri (2000), rilevano l’esistenza di una percentuale più alta d’omosessualità in maschi anoressici, con un valore di circa otto volte maggiore rispetto al campione femminile. Hasson e Tibbets (1977), descrivono una notevole perdita dell’assertività mascolina e delle identificazioni con altri maschi, così come la paura concernente il ruolo eterosessuale. L’aspetto della sessualità che pare essere un fattore discriminante fra i generi nella patologia anoressica, non trova supporto in alcuni lavori in letteratura. Andersen, in un lavoro condotto su 7 pazienti anoressici, non trova in nessun paziente, disturbi dell’identità di genere. Olivarda, in uno studio su 25 studenti che risponde ad una diagnosi del disturbo del comportamento alimentare, non evidenzia nessuna discrepanza tra il campione maschile e femminile in termini d’orientamento sessuale. La supposta correlazione tra disturbi dell’identità di genere e anoressia, è un aspetto da esaminare più dettagliamene, vista la discordanza degli studi fin’ora esaminati.

Sviluppo psicosessuale
Lo sviluppo dell’autonomia e dell’identità separata dalle figure genitoriali inizia fin da piccoli e i percorsi sono diversi negli uomini e nelle donne. Tra i 12 e 18 mesi, sia le femmine che i maschi sono coinvolti nei processi d’identità di genere e, simultaneamente, nei processi di svezzamento e auto alimentazione.

La bambina deve identificarsi con la madre, ma deve riuscire a prenderne anche le distanze per raggiungere autonomia ed individualità. A causa di questa somiglianza di genere, la bambina, ha l’illusione d’essere tutt’uno con la madre, perciò sono maggiori le possibilità di confusione e quindi una maggiore difficoltà nei processi di separazione e autonomia rispetto al maschio. Nel maschio, invece, si evidenziano difficoltà nei processi d’autonomia e separazione e maggiori difficoltà nell’identità di genere. Per il bambino, cosi come per le bambine, è sempre la madre il primo oggetto d’identificazione. In seguito ha luogo un processo di disentificazione con la madre e d’identificazione con il padre nei primi due o tre anni di vita (Stoller, R., 1968). Il padre ha un ruolo importante fin da quando il bambino è piccolo. Stoller, sostiene che il padre serve da corazza protettiva al bambino contro gli impulsi materni di prolungare la simbiosi madre- bambino. Secondo Ogden (1989), per lo sviluppo dell’identità di genere, è innanzitutto la madre che trasmette al bambino le possibilità d’identificazione su come lei ha vissuto il rapporto sia con il proprio padre che con il suo partner.

Attualmente, si tende a dare al padre un ruolo più positivo e strategico fin da quando il bambino è piccolo, in quanto, oggetto affettivo, contribuisce allo sviluppo delle funzioni dell’Io, alla posticipazione, alla gratificazione, all’intelligenza e alla percezione, Alterazioni nel rapporto, tra padre e bambino, possono essere la causa di problemi dell’identità di genere e/o limitare lo sviluppo delle capacità di simbolizzazione.

Nei maschi con anoressia, come più volte ribadito, ci sono difficoltà nella costruzione di una propria identità sessuale, ed una maggiore frequenza d’episodi di violenza subiti nell’infanzia. Esiste, infatti, una correlazione tra abusi subiti durante la prima infanzia e l’eventuale sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare; questo è significativamente più alto negli uomini che nelle donne (Woodside, DB. et al ., 2001 & Wichstrom, L., 2000). Kinzl (1996), è concorde con l’ipotesi che maltrattamenti subiti durante l’infanzia, quale abuso fisico e sessuale in ambiente familiare o esterno, siano stati fattori incidenti nello sviluppo dell’anoressia, sebbene nel suo studio, non sono state trovate differenze significative tra maschi abusati e non abusati.

In contrasto allo studio di Kinzl, da altre ricerche emerge che maschi che hanno subito abusi fisici duranti l’infanzia o che comunque hanno vissuto in un ambiente familiare difficile, hanno una maggiore probabilità di sviluppare il disturbo.

Pubertà e adolescenza
Spesso, lo sviluppo di un comportamento alimentare, nei maschi come nelle femmine, avviene in periodi di cambiamento e il periodo adolescenziale è quello a rischio maggiore. Una maggiore incidenza in questo periodo è da collegare a problematiche legate all’autostima, all’identità sessuale e all’indipendenza (Brusset, B., 1979).

I maschi (Adersen, AE. et al., 1997 & Carlat, DJ., Camargo, CA., 1997), in questo periodo sono più preoccupati per la mancanza di un adeguato sviluppo della massa muscolare, che, normalmente, viene, intesa come indice di mascolinità, virilità, e dominanza. Alcuni studiosi (Leon, GR. et al., 1999 & Keel, PK., et al., 1997) riscontrano, invece, una percentuale maggiore di casi d’anoressia in maschi pre- puberi; i maschi cosi come le femmine, con una precoce pubertà, hanno una maggiore tendenza alla perdita di peso, mentre individui che sviluppano il disturbo in un secondo momento, diventano più dipendenti dall’attività fisica.

Condotte compensatorie e mantenimento
Per tenere sotto controllo il proprio peso e la propria forma fisica, i maschi utilizzano lassativi e farmaci in maniera minore rispetto alle donne (25% contro 50%), ma sono maggiormente coinvolti in attività sportive che enfatizzano la forma, e sono più portati delle donne ad utilizzare esercizio fisico eccessivo. Non sono però state evidenziate particolari differenze nell’uso di lassativi, nell’esercizio fisico, negli episodi di bingeing, puring e vomito.

Nel campione studiato da Carlat, Camargo e altri (1997), emerge che metà dei pazienti maschi anoressici sono stati atleti nel periodo precedente all’esordio della malattia, invece nelle donne risulta solo il 27%. L’eccessiva attività fisica, così come un regime alimentare rigido, è usata come corazza dai maschi per mascherare il proprio disturbo. L’attività sportiva difatti, se praticata in maniera smisurata, non solo è causa di una certa rigidità e coercizione psichica, ma conduce a disturbi del comportamento alimentare. Lo sport eccessivo, come suggeriscono alcuni autori (Epiling, W.F., Pierce, W.D., 1996), causerebbe soppressione dell’appetito e diminuzione dell’assunzione di cibo; questa è definita anoressia attiva o self – stravation. Si tratta di una sindrome a base biologica scatenata da dieta e attività fisica.

Nella popolazione maschile, lo sport e l’eccessiva attività fisica, sono la causa della cosiddetta Reverse Anorexia, o anoressia inversa, dovuta alla paura d’essere troppo “piccoli” Uomini muscolosi e con fisico più sviluppato della norma, hanno la percezione soggettiva d’essere troppo magri, quindi attuano le più diverse strategie compensatorie per fronteggiare quello che definiscono come il loro problema. Tale condizione viene anche chiamata Muscle Dismorphia, ed è caratterizzata da disturbi d’ansia, dell’umore, del comportamento alimentare e abuso di steroidi anabolizzanti. Se nelle donne il problema è quello di essere in sovrappeso, negli uomini è quello di essere in sottopeso; quest’ultimi cercano strategie per incrementare il volume della massa muscolare e non della qualità del grasso (Page, Allen, 1995). Individui con anoressia inversa, hanno caratteristiche comuni, quali l’ alessitimia, anedonia e una propensione all’uso di sostanze dopanti(Carton, Jouvent, Wildlocher, 1994 ).

Tratti caratteriali e psicologici
Gli aspetti caratteriali e i tratti psicologici sono scarsamente trattati, vale la pena però soffermarci su due interessanti studi: la ricerca di Fassino, Abbate – Daga ed altri del 2001 e quello di Fernandez – Aranda ed altri del 2004. Le ricerche hanno preso in considerazione campioni di soggetti anoressici, rispettivamente di 15 la prima e di 7 la seconda; entrambe le ricerche hanno utilizzato il medesimo strumento: il TCI (Temperament and Character Inventory di Cloninger et al. 1994), per indagare i tratti caratterologici e di temperamento che sono implicati nel possibile sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare.

Dalla ricerca del 2001 si delinea che gli uomini anoressici del campione presentano tratti simili a quelli delle donne anoressiche, ma vi sono, tuttavia, alcune indicative differenze di genere: i maschi anoressici variano notevolmente dal campione maschile di controllo, mentre appaiono molto più vicini alla personalità di donne anoressiche. Gli autori, sono giunti ad ipotizzare che il disturbo anoressico sia un disturbo tipicamente femminile. Nella ricerca successiva, Fernandez e Aranda,(2004) utilizzando il TCI, l’EDI ed il SCL- 90, trovano similitudini tra maschi e femmine nelle seguenti variabili: età, diagnosi e durata della malattia ed una tendenza ad un esordio più tardivo nella popolazione maschile. Non sono state invece riscontrate differenze significative fra i generi riguardo agli aspetti di perfezionismo e/o ai rapporti interpersonali. I maschi mostrano livelli significativamente più bassi delle femmine nella condotta alla magrezza, nella regolazione degli impulsi e nell’insoddisfazione corporea, ma non ci sono altre differenze nelle misurazioni patologiche e sintomatologiche.

Aspetti familiari
L’ambiente familiare in cui il ragazzo anoressico è cresciuto ha un ruolo centrale nell’esordio e nel mantenimento della malattia. Tipicamente sono due le strutture familiari tipiche di soggetti con tale patologia: la prima, e più comune, è caratterizzata da una madre iperprotettiva e dominante e un padre assente o poco presente; la seconda invece, si caratterizza per una figura materna distante e una figura paterna presente. In entrambi i casi, gli atteggiamenti di mascolinità sono molto stereotipati ed accentuati.

Sono tipiche in queste famiglie situazioni d’abusi, divorzi e separazioni, con una prevalenza maggiore negli uomini che nelle donne. Da un’osservazione condotta da Braum ed altri (1999), su un campione di 31 maschi anoressici emerge che l’incidenza di divorzi nelle famiglie di maschi è del 35,1% contro il 13,5% del campione femminile.

Solitamente, sono fatte ai figli richieste eccessive, e questi nel tentativo di non soddisfare le aspettative dei genitori vivono sentimenti di scarsa autostima ed inadeguatezza che danno corpo al disturbo. Spesso, i padri, insistono affinché il figlio pratichi sport e raggiunga quelli che la società definisce come stereotipi tipicamente maschili. Kearney e Cooke (1990), osservano come maschi con disturbi del comportamento alimentare abbiano rapporti più stretti con la madre che con il padre, mentre Wichstrom (2000), in uno studio follow-up, nota che circa 2/3 dei maschi con disturbo del comportamento alimentare, ha rapporti freddi ed impersonali non solo con la madre, ma con entrambi i genitori. Questa tipologia di relazione all’interno della famiglia è tanto presente nel campione femminile quanto in quello maschile. Nei maschi è inoltre presente una maggiore difficoltà nelle relazioni extra familiari, contrariamente al campione femminile. Kearney e Cooke(1990), notano come uomini con disturbo del comportamento alimentare tendano ad essere chiusi ed introversi sia con la madre che con il padre. Questi due autori arrivarono alla conclusione di come sia importante per i genitori di figli anoressici la mascolinità, e di come questi si sentano inadeguati quando non raggiungono tale aspettativa.

Fattori prognostici
Kachele, Kardy e Richard (2001), prendendo in considerazione fattori quali la storia del disturbo, l’analisi remota e familiare e il decorso, rilevano una maggiore incidenza nel genere maschile rispetto a quello femminile. Non si delineano specifiche abitudini alimentari come fattori prognostici, se non nell’infanzia una difficoltà ad alimentarsi ed un disinteresse per il cibo, in entrambi i sessi.

I maggiori indicatori prognostici sono gli aspetti dello sviluppo psicosessuale. La presenza d’attività sessuale, incluse fantasie sessuali e masturbazione, è fortemente correlata nei maschi ad una prognosi favorevole, mentre la loro assenza, ad una prognosi sfavorevole.

Questi autori, nel loro studio follow-up su 335 pazienti con anoressia d’entrambi i sessi, prendendo in considerazione la variabile età constatano che una prognosi peggiore è correlata ad una maggiore età al momento dell’ingresso, ad un’impulsività elevata e ad alterazioni di personalità. I pazienti con età compresa tra 18 e 20 anni sono quelli con prognosi peggiore.

Crips et al. (1976), in uno studio follow-up condotto su pazienti anoressici d’entrambi i sessi, rileva similitudini, tra maschi e femmine, nelle caratteristiche premorbose, nella fase di malattia conclamata e nella prognosi.

Burns e altri studiosi (1990), in una ricerca su maschi anoressici, utilizzano come criterio equivalente dell’amenorrea femminile, l’attività sessuale (rapporti e/o masturbazione); tale aspetto è valutato sia al momento dell’esordio che al successivo follow-up. Tutti i pazienti riferiscono un calo sia del desiderio che dell’attività sessuale. Confrontando gli uomini con le donne, si riscontrano differenze significative; nei maschi sembra esserci una prognosi favorevole e una guarigione più veloce.

Per quanto riguarda il ripristino della funzione sessuale e della fertilità, questa è più veloce negli uomini, ma è descritta da quest’ultimi in maniera più marginale, come se avesse un ruolo meno centrale e simbolico. La guarigione, sembra essere associata, ad un miglioramento delle funzioni sociali. Una volta dimessi, nel campione maschile, c’è una remissione dei sintomi pari a 1-11% ed un miglioramento pari a 20-33%.

Mortalità
Da diversi studi emerge una mortalità generica per anoressia nervosa pari ad una percentuale del 2-7%. Le cause sono da attribuire alla denutrizione, al suicidio (l’idea suicida è prevalente nel campione maschile), e a complicanze dovute all’alcolismo (Miotto, P., et.al 2003).

Negli studi follow-up di Crows et al. (1999) non si riscontrano casi di decessi, nonostante che quasi la metà dei loro pazienti, necessitasse di almeno un ricovero durante il periodo d’osservazione.

Hewiti e altri studiosi, in un lavoro condotto nel 2001, presero in rassegna le cause primarie e concomitanti dei certificati di morte dal 1986 al 1999, e riscontrano una frequenza di morte per anoressia nervosa pari a 11/100000 nelle femmine e 2,7/100000 nei maschi. La razza, nella loro osservazione, non è un fattore discriminante per gli uomini ma lo era invece per le donne, con una incidenza più alta per quelle bianche rispetto a quelle di colore. In riferimento all’età, si osserva un maggior picco di mortalità in età giovanile per le donne, ma non per gli uomini. Sembra invece, che l’aumentare dell’età, in particolar modo dopo i 70 anni, sia un fattore di rischio per entrambi i sessi.

Trattamento
La terapia completa dell’anoressia nervosa, prevede un trattamento multidisciplinare, che si avvale di un modello di rete e che prevede interventi psicoterapeutici strutturati, dietetici, medici chirurgici e farmacoterapeutici (Rovera,GG., et al., 1984). E’ un percorso a tappe che presume la valutazione diagnostica, indicazioni per un eventuale ricovero ospedaliero anche obbligatorio, riabilitazione nutrizionale, psicoeducazione alimentare, trattamenti psicoterapeutici (terapie cognitivo- comportamentali, psicoterapie analitiche, psicoterapie di gruppo), eventuali associazioni di psico farmacoterapia e counseling familiare (Santonastaso,P., Favaro, A., 2000). La farmacoterapia si avvale prevalentemente di antidepressivi serotoninergici (Leomburini, P et al. 2003).

In uno studio condotto su 335 pazienti ricoverati per anoressia nervosa, di cui 11 maschi (33%), Kachele et al. (2001), valutano l’esito della psicoterapia dinamica in due momenti diversi; alla dimissione e dopo un follow-up di 2.5 anni. E’ stato confrontato il miglioramento del quadro clinico e del BMI con la durata del trattamento e la frequenza delle sedute di psicoterapia; in generale, non emerge una forte associazione tra la lunghezza e frequenza della terapia e il BMI. Il trattamento più lungo dà risultati migliori con pazienti giovani, sopra i 40 anni e in quelli cronici, che hanno un minor adattamento sociale, Al contrario, il trattamento breve, si rivela più efficace nei pazienti che hanno un buon adattamento psicosociale.

Dare (2001) e Zeck (2005) rilevano come le terapie psicoanalitiche individuali e quelle familiari sono complessivamente come le più indicate, seguite dalle terapie cognitivo comportamentali.

In letteratura, sia per il trattamento farmacoterapeutico, che per quello psicoterapico, non emergono differenze significative tra i generi. La valutazione dell’efficacia di una tecnica terapeutica piuttosto che di un’altra è resa difficoltosa dalla bassa incidenza d’anoressia nervosa nella popolazione maschile, e più che altro, il materiale esistente riguarda casi di report su trattamenti individuali (O’ Neill, S., 2001).

Conclusioni
Ricapitolando, sebbene la patologia anoressica abbia una prevalenza nella popolazione femminile, anche gli uomini ne sono colpiti, oggi come in passato. Le principali difficoltà nel diagnosticare il disturbo si riferiscono sia ai pazienti, che dal loro canto non accettano di essere colpiti da una patologia “tipicamente femminile”, e ai medici, che spesso associano i sintomi ad una secondarietà ed ad altre patologie. Questo fenomeno allunga i tempi di riconoscimento del disturbo, e di conseguenza, l’inizio di un eventuale trattamento avviene solitamente dopo sette anni. Le cause sono molteplici, ma una componente importante è da attribuire all’ambiente in cui l’individuo vive. La rigidità di una certa educazione e le famiglie in cui il sesso è un tabù, sono fattori che influiscono nell’eventuale esordio del disturbo, che, come nelle donne, avviene nell’adolescenza/ prima età adulta, periodi di cambiamento in cui l’individuo lotta per la costruzione della propria identità. L’influsso dei mass media, così come l’appartenenza ad una certa categoria sociale (come per esempio quella degli sportivi), sono correlati con l’esordio del disturbo. Prevale negli uomini, a dispetto delle donne, il desiderio di essere forti e muscolosi, messaggi promossi anche da riviste maschili, che a differenza di quelli femminili, si soffermano sulla muscolatura come indice di virilità. Nella popolazione maschile, un aspetto importante, riguarda l’identità sessuale, e si riscontra una maggiore prevalenza del disturbo negli omosessuali/ bisessuali, o comunque individui la cui sessualità è incerta. Gli sportivi, quali corridori compulsivi, body builders, pugili, maratoneti, a causa della rigidità prevista dalla loro attività, sono più esposti rispetto alla popolazione generale, all’eventuale esordio di un disturbo del comportamento alimentare. Così come per le donne, il trattamento con questi individui deve essere multifattoriale: un’equipe di medici, psicologici, nutrizionisti e altre figure, cooperano nel trattamento del disturbo, che si avvale di terapie dall’orientamento diverso, ma sopratutto cognitivo comportamentali, con il comune intento di raggiungere gradualmente l’obiettivo.

Fonte: Psicoterapia.it
Autore: Cecilia Bertelli

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