La dipendenza da tecno-illusioni

In Psicologia Clinica by Centro PSY

In una bella intervista per RaiDoc, poi ripresa dal quotidiano «La Repubblica», lo scrittore Niccolò Ammaniti parla di una sua superata dipendenza dai videogiochi. Dice fra l’altro: «Avevo capito che stavo diventando veramente dipendente, al punto che mi svegliavo la mattina e pensavo nei termini dell’”altro mondo”… A un certo punto anche nei sogni mi sognavo vedendomi di schiena, come sul monitor. Come se il gioco fosse un programma che ti riempie tutto l’hard disk e ti lascia uno spazio microscopico in cui poter vivere. …Se [coi videogiochi] avessi cominciato prima, probabilmente non avrei fatto lo scrittore, mi sarebbe stato sufficiente giocare per potermi creare un mondo diverso da quello in cui vivevo» (Loredana Lipperini, «Schiavo dei videogiochi. Intervista: Niccolò Ammaniti racconta la mania della realtà virtuale» («La Repubblica», 23/11/2005).

Nel videogioco e nel gioco on line (nel quale possono collegarsi in rete diversi utenti in rapporto fra loro mediante personaggi virtuali) il dispositivo tecnologico è in grado, con raffinate simulazioni, di gestire un essere umano come una tastiera sulla quale premere i pulsanti giusti perché in risposta il suo organismo produca i neurotrasmettitori e le secrezioni ormonali relative alle emozioni e alle reazioni volute dal gioco: la paura, l’allarme, l’umiliazione, la depressione da sconfitta, la rabbia, l’aggressività, l’ossessione, l’eccitazione, l’esultanza della vittoria… Nei più raffinati giochi virtuali moderni la simulazione si spinge fino a far vivere esperienze complesse come la noia, il tempo morto di un’attesa, la complicità di un erotismo simulato e condiviso a distanza…

Vorrei chiamare questa avanzata forma di cyber-dipendenza virtual life addiction. Grazie a testimonianze sottili e intelligenti come quella di Ammaniti si può isolare e individuare questa nuova forma di patologia, che vorrei chiamare, in italiano, dipendenza da tecno-illusioni. L’analisi di questa nuova sindrome aiuterebbe a mostrare quanto il mondo contemporaneo generi illusioni (dai videogiochi ai giochi on line, dai talk show ai reality show – che più onestamente dovrebbero essere definiti irreality show – fino ai più taciuti e nascosti paradisi artificiali della pornodipendenza e della prostituzione virtuale (su internet), vocale (via cavo telefonico) e scenica (nei locali di streep teese e della lap dance, dove si sta ai limiti del contatto reale). Inoltre, un’analisi accurata di queste dipendenze mostrerebbe quanto le tecno-illusioni siano funzionali a scaricare la frustrazione di un mancato contatto con la realtà pratica e a mettere questa frustrazione «a profitto», rendendola cioè molto redditizia e vantaggiosa per la grande industria dell’intrattenimento.

Prendiamone in esame una: la pornodipendenza. Si tratta di una tecno-illusione molto diffusa nella popolazione maschile di tutto il mondo, non solo occidentale, diffusa almeno quanto l’«illusione romantica» (la dipendenza affettiva) nella popolazione femminile. Come e perché essa attecchisce in una personalità?

In genere, la dipendenza da materiale pornografico comincia a manifestarsi allorché un giovane adolescente è alle prese coi «misteri del sesso» (è attratto dalla sessualità, perché fisicamente maturo e intellettualmente curioso), ma una inibizione lo porta a allontanarla facendola rifluire su un piano contemplativo: il piano del voyerismo reale (il bisogno di spiare o osservare reali corpi nudi o reali scene sessuali) e il piano del voyerismo immaginario, cioè della contemplazione di immagini artificiali o di immagini e situazioni prodotte dalla fantasia. Il ragazzo affetto da voyerismo non ha subito una rimozione della sessualità, bensì una inibizione: la paralisi dell’azione reale.

Questa dinamica ha un’ovvia origine sociale: laddove la società consentiva la visione dei rapporti fra adulti o scambi sessuali fra adolescenti (come accadeva in alcune società tribali) non si registravano inibizioni di sorta.

Questa inibizione cosa comporta per l’adolescente? Comporta che egli scinde il desiderio (non solo quello sessuale: anche quello di essere adulto in senso pieno) dall’azione reale, accettando così una maturazione differita, posticipata, per alcuni aspetti annullata. A questo punto, la cultura pornografica si pone come succedaneo dell’azione, succedaneo tale da apparire al ragazzo, per via del suo carattere immediato e totale, persino più soddisfacente (o comunque meno pericoloso) della realtà. Il ragazzo è stato portato così a preferire la contemplazione all’azione, l’immaginario al reale.

In questo senso la pornodipendenza è una regressione dallo stato psicologico proprio della tensione desiderante attiva, che comporta sempre un certo grado di conflitto, a una condizione di dipendenza (simile a quella infantile) inibita rispetto all’azione per via della passività che la caratterizza. Allo stesso tempo, la pornodipendenza è una trasgressione, perché viola l’inibizione almeno sul piano immaginario, dove cresce fino a configurarsi in termini di fantasia risarcitiva di onnipotenza.

La pornodipendenza: una trasgressione normalizzata
Nel mondo attuale, la pornodipendenza può essere ormai intesa come una trasgressione normalizzata. Con questa definizione intendo una pratica trasgressiva che, dietro un leggero velo di occultamento, la società favorisce e persino incentiva, sia per aumentare i profitti e far circolare denaro, sia per fornirsi di «luoghi di scarico» della frustrazione individuale e sociale. Nella trasgressione normalizzata l’infelicità umana, anziché esprimersi sul terreno aperto dell’emancipazione e dell’affermazione identitaria, rifluisce in uno spazio privato di trasgressione, per essere lì placata mediante un piacere fittizio.

Su questo piano, la pornodipendenza «gode» dello stesso favore e della stessa omertà di cui beneficiano altre trasgressioni: l’alcolismo, il gioco d’azzardo, il consumo diffuso di droghe, la promiscuità sessuale e la prostituzione soft (quelle degli annunci, dei locali, delle associazioni e delle agenzie d’incontro e di scambio, delle importanti occasioni mondane).

Facciamo la fantasia che di colpo queste trasgressioni, diffusissime nel corpo sociale, vengano meno, perdano cioè il potere attrattivo che esercitano ogni giorno su milioni e milioni di persone: che cosa accadrebbe? Accadrebbe che la società sarebbe invasa da un’immensa onda di riflusso, un vero e proprio tsunami psicopatologico, satura d’inquietudini e di domande di senso, che finirebbero per destabilizzarla. La trasgressione, dunque, normalizza la frustrazione e la trasforma in un piacere «a buon mercato», nel senso che la colloca in ambiti in cui perde il significato originario fino ad essere tollerata dalla cultura dominante. Ogni strumento umano, tanto più quanto esso è attraente, è suscettibile d’essere cooptato dall’industria della trasgressione nella piena consapevolezza che se ne possono trarre immensi profitti. Così è successo per l’industria chimica, che ha dato alimento a molteplici dipendenze; così per l’industria dell’intrattenimento. Qual è oggi lo strumento elettivo della pornodipendenza? Ebbene, nel mondo attuale, si può parlare di pornodipendenza solo a partire dall’avvento di Internet. Non che in altre epoche non esistessero persone patite di oggetti e letture di carattere pornografico; ma oggi il mezzo elettronico garantisce un’offerta di una tale abbondanza e consente una fruizione di una tale accessibilità che la disposizione psicologica alla dipendenza può concretizzarsi con una facilità mai sperimentata in passato.

Internet è un mezzo straordinario, che ha espanso la possibilità di raccogliere informazioni da ogni parte del mondo e di scambiare dati con individui e gruppi posti a distanze sconfinate. Allo stesso tempo è uno strumento terribile, perché mette ciascuno di noi di fronte ai molteplici rischi della libertà. L’offerta pornografica sul Web è immensa, tanto da sembrare infinita. In più il suo reperimento è di una semplicità tale da farlo avvertire come un dono, piuttosto che come un peccato, come accadeva un tempo quando la conquista dell’oggetto pornografico costringeva il fruitore a uscire di casa e «andare in cerca», confrontandosi così con lo sguardo altrui e con l’angoscia d’essere giudicato. Venuti meno i freni inibitori, il cercatore di consolazioni ha trovato il suo paradiso, il luogo mitico nel quale il «bene» gli è offerto senza restrizioni di sorta, facendogli dimenticare il faticoso cammino che nella realtà concreta porta all’agire efficace e alla felicità. Egli ha barattato il potere reale col potere illusorio offerto dalla trasgressione, senza accorgersi di scivolare ogni giorno di più verso l’esclusione sociale.

«La felicità che voglio»: il masochismo rivendicativo
In tal modo, l’industria della dipendenza da tecno-illusioni provoca l’esclusione di quote immense della popolazione, di tutti coloro che vivono abbarbicati ai loro schermi in cerca di paradisi sessuali, di utopie sociali (chat e forum), di simulazioni di azioni vive, libere e coraggiose (videogiochi e giochi on line). Quando il conflitto con gli altri, da sempre necessario alla maturazione della personalità, si rivela troppo doloroso, l’individuo scopre di poterlo aggirare mediante la pratica dell’illusione, che consente di scivolare in una dimensione dove l’onnipotenza può crescere senza limiti. Ma alla fine, più la dimensione fantastica si espande radicandosi nella mente, più essa diventa un enorme parassita che assorbe l’io, escludendolo dal fondamentale rapporto con la realtà. Nel videogioco il rapporto agonistico con la realtà, l’aspettativa di essere coinvolto in azioni efficaci e «battaglie» reali viene eluso e sacrificato nell’eccitazione della simulazione tecnologica. Nella pornodipendenza, Il piacere sensuale, che è il principale medium di relazione col mondo, viene alla fine sacrificato nel rito della masturbazione.

Colui che aveva dentro di sé l’esigenza di vivere una «oltraggiosità liberatoria», di natura adolescenziale (non patologica) nei confronti dei valori convenzionali della propria origine, scopre d’essere schiavo d’un mezzo illusorio e si ritrova così a pentirsi dei suoi impulsi, a vergognarsi della propria psiche, dando così ragione al mondo familiare o sociale che avrebbe voluto sfidare. A questo livello di gravità, la dipendenza da vita virtuale e la pornodipendenza divengono una variante del masochismo morale (cfr. Ghezzani, Volersi male, Franco Angeli 2002), in rapporto al quale l’individuo distrugge se stesso pur di non alterare gli equilibri del suo mondo di appartenenza. Avendo scelto di privilegiare la visione contemplativa all’azione, il pornodipendente diventa infine come lo schiavo del mito platonico, che, imprigionato in una caverna e legato a una pietra, contempla le ombre che la realtà esterna proietta all’interno sulle buie pareti rocciose.

La dipendenza da tecno-illusioni è un piacere sottratto al piano della realtà e spostato su quello dell’immaginario. Un piacere che riguarda il diritto di partecipare alla vita. Tale diritto il dipendente l’ha perso nel corso del tempo, perché l’ha sostituito con l’ambiguo piacere di identificarsi nella simulazione con una potenza fittizia.

Dice un alcolista intervistato da Deirdre Boyd ( Liberarsi dalle dipendenze, Mondadori 1999): «Solo per oggi mi concederò la felicità che voglio. Solo per oggi». Le dipendenze hanno sempre al loro cuore questa disperata rivendicazione di piacere. Il dipendente da tecno-illusioni intuisce che la felicità cui anela non sta nel suo oggetto illusorio, ma sa bene che la sua patologia gli impedisce di cercarla nel mondo di azioni libere e efficaci che quell’oggetto sostituisce.

Fonte: Psicoterapia.it
Autore: Nicola Ghezzani

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