Dalla metà del secolo scorso si è assistito ad un proliferare di piccoli gruppi o vere e proprie organizzazioni “multinazionali”: culti vari, alcuni dal sapore esotico altri di tipo magico. Molti promuovono dottrine sincretiste di tipo esoterico-iniziatico; ma tutti si dichiarano depositari di “verità” assolute o di “conoscenze” superiori.
Quello dei “nuovi” culti è un fenomeno complesso che riflette da una parte i disagi e i bisogni dell’uomo del nostro tempo, dall’altra la gran confusione che regna su questi argomenti. Purtroppo a farne le spese sono spesso le famiglie che disinformate, si rendono conto che qualcosa non va quando ormai il proprio caro è già fin troppo coinvolto in uno di questi gruppi.
Si calcola che siano circa mille i culti esistenti nel nostro Paese, un censimento molto fluido perché frequenti sono le nascite e le morti di certi gruppi, così come le scissioni, che generano a loro volta nuove diramazioni. Si stima in ogni modo che gli adepti si aggirino intorno ai 3 milioni. Una schiera sommersa che percorre in modo trasversale ogni strato della società e che si valuta coinvolga in maniera diretta otto milioni circa di famigliari.
Spunto che ha sempre alimentato ampie discussioni, è il discrimine fra il lecito e l’illecito che caratterizza simili strutture. Dove finisce il gruppo e dove inizia la setta? Dove finisce la comunità e inizia la coercizione mentale, il condizionamento e l’abuso?
Un segnale chiarificatore si può trovare nel continuo aumento di posizioni critiche, di racconti di esperienze vissute all’interno di determinati culti e nelle difficoltà degli aderenti a lasciare il gruppo senza subire danni alla propria dignità o essere oggetto di atteggiamenti persecutori al limite della legalità. Inoltre, cresce il numero delle famiglie disgregate perché uno dei congiunti è diventato un adepto. Il problema dunque è presente, concreto e allarmante.
La spinta verso le dottrine salvifiche e i gruppi che fanno proselitismo ha a che fare soprattutto con lo stile di vita, lo sviluppo socio-politico, la condizione psicologica. Sono in genere le persone sensibili e idealiste – non già le più “deboli”, come spesso si ritiene – a lasciarsi entusiasmare dalle utopie di gruppi assolutisti; persone che cercano altri, e alti, valori, un significato di vita immortale, persone che si scontrano con un mondo dove il successo sembra essere la misura di tutto, senza offrire, ai loro occhi, lo spazio sufficiente al senso religioso. Senza la disponibilità di questa ampia cerchia di popolazione, i fondatori dei culti si troverebbero davanti a tribune deserte. In realtà la nostra epoca, contrassegnata dalla carenza di certezze da una parte e dalla forte esigenza di risposte dall’altra, produce continue richieste di spiritualità, armonia interiore e speranza. Uno scenario che induce a pensare che il momento d’oro per i “nuovi maestri” debba ancora arrivare.
Mentre questa sorta di realtà parallela vive, si autoalimenta e si diffonde nella quasi totale indifferenza, non è raro imbattersi in notizie che all’improvviso ce la mostrano in tutta la sua drammatica complessità.
“Un crescente allarme sociale”. Così il Ministero dell’Interno nel suo ultimo rapporto “Sette religiose e nuovi movimenti magici in Italia” (datato ormai 1998) definiva il fenomeno del proliferare di gruppi religiosi o pseudoreligiosi che hanno caratteristiche tali da rappresentare veri e propri pericoli per la libertà personale e la salute dell’individuo, l’educazione e le istituzioni democratiche.
Il monito oggi è più che mai attuale.
Qualcuno li chiama culti distruttivi, altri gruppi totalitari ma la prassi è sempre la stessa: offendere deliberatamente e in modo continuato la dignità dei loro membri e probabilmente anche i diritti umani.
I culti distruttivi si celano dietro quella libertà di fede, di coscienza e d’associazione che sono garantite in tutti i Paesi democratici. Sfruttano l’area effettivamente non regolata dal diritto in riferimento alla manipolazione mentale fino al limite estremo. E’ proprio da questo che deriva la difficoltà di far luce dietro la facciata. Si ha così un paradosso: le stesse norme e le stesse leggi che sono state emanate per la tutela delle libertà dell’uomo, consentono ai culti distruttivi di indottrinare i loro membri e ridurli in schiavitù. I metodi usati vanno dai procedimenti ipnotici alle dinamiche di gruppo.
L’individuo durante tutta la fase d’iniziazione è adulato, ingannato e manipolato, ma mai direttamente minacciato, in modo tale che faccia le scelte che sono previste. Una volta all’interno del culto il controllo del contesto sociale è mantenuto grazie all’intervento di diversi fattori.
Per preparare un nuovo individuo ad un cambiamento radicale è necessario dare prima uno scossone alla sua realtà. Gli indottrinatori devono disorientarlo: gli schemi di riferimento per capire se stesso e l’ambiente che lo circonda devono essere stravolti e distrutti. Sconvolgere la sua visione della realtà lo priva delle difese naturali. Una volta che una persona è distrutta o destrutturizzata, è pronta per la fase successiva. Il cambiamento.
Consiste nell’imporre una nuova identità, un nuovo schema di comportamenti, pensieri ed emozioni che andrà a riempire il vuoto lasciato dal crollo della vecchia identità. Il processo di cambiamento richiede ben più che la semplice obbedienza alle autorità del culto. Ci sono numerose sessioni “comuni” nel corso delle quali si confessano le colpe del passato, si raccontano i successi ottenuti e viene instaurato un senso di appartenenza. Questi incontri di gruppo sono molto efficaci per indurre il conformismo: il gruppo incoraggia alcuni comportamenti con lodi e riconoscimenti mentre punisce con silenzi di ghiaccio idee e atteggiamenti ritenuti non idonei. Gli esseri umani hanno un’enorme capacità di adattamento a contesti e situazioni del tutto nuovi e i culti distruttivi sanno bene come sfruttare queste capacità.
Controllando ciò che circonda una persona, usando strategie di modifica comportamentale, inducendo stati ipnotici, premiando o condannando alcuni atteggiamenti, possono riprogrammare in tutta tranquillità l’identità di una persona.
Una volta che la persona è “cambiata” è pronta per la fase successiva: la ristrutturazione. Dopo averne smantellato l’identità originaria e averlo indottrinato a credere in un nuovo sistema ideologico, l’individuo va ricomposto in un “nuovo essere”. Deve essere fornito di una nuova finalità esistenziale e inserito in attività capaci di solidificare la sua “nuova” identità. Il primo e più importante compito del “nuovo” individuo sarà di denigrare la sua vecchia identità. La cosa peggiore che un membro possa fare è agire secondo la propria identità, salvo che questa non sia quella nuova di zecca datagli dal culto, che si andrà a completare dopo diversi mesi.
La memoria del soggetto si distorce, tendendo a minimizzare le cose buone del passato e a ingigantire gli errori, i fallimenti, le ferite e i sensi di colpa. In caso di conflitto con il suo impegno rispetto alla causa, l’individuo dovrà gettarsi alle spalle ogni cosa: abitudini, interessi, amici e familiari. Cosa che preferibilmente andrà fatta con drammatiche prese di posizioni pubbliche. Per aiutare a interiorizzare il processo alcuni culti cambiano il nome ai seguaci. Molte organizzazioni spingono affinché gli affiliati modifichino il modo di vestire e il taglio dei capelli, andando a incidere su qualsiasi cosa possa loro ricordare il passato.
Questo indottrinamento effettuato dai culti distruttivi passa attraverso sofisticate e potenti tecniche: il controllo del comportamento, del pensiero, delle emozioni e dell’informazione , che insieme formano una rete totalizzante capace di intrappolare le menti anche degli individui più forti.
Il controllo del comportamento: il nostro modo di agire è in linea con l’ambiente che ci circonda e ne dipende: luogo di abitazione, tipo di abbigliamento, qualità del cibo, quantità di riposo, tipo di lavoro svolto, abitudini e altre attività.
I culti abusanti sanno bene che se per un motivo qualsiasi il contesto ambientale di un individuo cambia, cambierà l’intera gamma di valori che ne determinano il comportamento, e cambierà anche l’immagine che la persona ha di se stessa, per accordarsi al mutamento. L’imposizione di un forte controllo dell’ambiente è perciò imprescindibile condizione per “cambiare” un individuo. Il controllo quanto più è intenso, tanto più viene interiorizzato, e tende a gestire l’intera comunicazione dell’individuo. Quindi il “cambiare” è alla base dei rigidi e impegnativi programmi di vita imposti agli adepti.
Nei culti distruttivi c’è sempre qualcosa da fare. In alcuni gruppi i membri devono chiedere il permesso per qualsiasi cosa. In altri casi l’individuo viene reso così dipendente dal punto di vista finanziario che la sua facoltà di scelta comportamentale si restringe automaticamente. Il seguace deve essere autorizzato a telefonare a un amico o a un parente fuori dal gruppo e deve rendere conto di ogni ora della giornata. In un ambiente così strutturato, tutti i comportamenti possono essere premiati o puniti. L’ubbidienza è la più importante lezione da apprendere. Chi comanda sa che non potrà mai controllare completamente i pensieri di un individuo, ma sa anche che nel determinarne il suo comportamento, riuscirà ad arrivare anche al cuore e alla mente di quel soggetto. Così, pur non realizzandosi mai in misura completa, il controllo può arrivare in profondità: si manifesta come convincimento che il possesso della “verità”, esclusiva del proprio gruppo, ha il diritto di entrare in conflitto con l’autonomia dell’individuo, la quale ora viene addirittura percepita come una minaccia.
Il controllo del pensiero: altra importante componente della ragnatela che avvolgerà la persona, prevede l’indottrinamento dei membri in maniera così pervasiva da far loro interiorizzare la dottrina, assumere un nuovo sistema gergale e usare tecniche di blocco del pensiero che tengano le loro menti “centrate”, ossia costantemente polarizzate sull’obiettivo imposto dal gruppo. Per divenire un buon seguace, infatti, una persona deve prima imparare a “manipolare” i propri processi mentali.
Nei culti totalitari, l’ideologia è interiorizzata come “la verità”, l’unica e autentica “mappa” della realtà. La dottrina non solo serve a filtrare le informazioni in entrata, ma indica anche il modo in cui elaborarle. Generalmente si tratta di dottrine assolutistiche, che dividono ogni cosa in “bianco o nero”, “noi o loro”. Tutto ciò che è buono si incarna nel leader e nel suo gruppo. Tutto ciò che è cattivo è nel mondo esterno. La dottrina sostiene di poter rispondere a tutte le domande, di spiegare “il perché” di tutti i problemi. Un affiliato non ha bisogno di pensare con la sua testa, dal momento che la dottrina pensa per lui.
Un culto distruttivo ha un suo “proprio linguaggio”, che contempla parole ed espressioni tipiche. Poiché il linguaggio fornisce i simboli che usiamo per pensare, controllare determinate parole significa anche controllare i pensieri. I cliché del culto, così come il suo gergo, costruiscono un ulteriore muro invisibile tra appartenenti ed esterni. Il linguaggio del gruppo aiuta i membri a sentirsi speciali.
Un altro aspetto chiave del controllo del pensiero prevede l’addestramento specifico dei soggetti a bloccare e respingere qualsiasi informazione critica nei confronti del gruppo. Se un’informazione trasmessa viene percepita come un attacco al capo, alla dottrina o al gruppo stesso, per tutta risposta viene immediatamente eretto un muro di ostilità. I seguaci sono stati addestrati a non credere ad alcuna critica. Ogni eventuale appunto nei loro confronti è stato preventivamente presentato come “menzogne contro di noi”. I basilari meccanismi di difesa di una persona vengono confusi a tal punto da farla arrivare a difendere l’identità acquisita nel culto a scapito dell’identità originaria, che soccomberà nello scontro.
Molti dei culti abusanti costruiscono ad arte, come strategia di reclutamento, dottrine che inducono negli affiliati comportamenti che generano come naturale esito opposizione da parte dei famigliari. Questa strategia serve ai leader per provocare incomprensione tra la famiglia e l’adepto. Ben presto all’interno della famiglia, l’inconciliabilità dei due mondi, diventa un dato di fatto, il dialogo si interrompe e allora come unico riferimento per l’adepto diviene il gruppo, dove egli è convinto di poter trovare “vera” comprensione ed “affetto”, di conseguenza l’adepto si allontana dalla famiglia sempre di più anche affettivamente. Paradossalmente le critiche mosse al gruppo o al leader non fanno che rafforzare la convinzione che la sua visione del mondo sia più che fondata. A questo punto il “cerchio” si chiude: isolato da parenti e amici, visti adesso come potenziali nemici, l’individuo si trova fuori dalla società reale, psicologicamente pronto a adottare come nuova famiglia il gruppo di appartenenza ed ad incamerarne i metodi e i comportamenti come gli unici accettabili.
L’informazione, perciò, non viene mai accolta correttamente. Il blocco del pensiero è il modo più diretto per mandare in corto la capacità di una persona di verificare la realtà. Di fatto, se una persona pensa esclusivamente in maniera positiva rispetto al suo coinvolgimento nel gruppo, è senza dubbio intrappolata. Il controllo del pensiero può effettivamente bloccare qualsiasi sensazione che non corrisponda a quelle previste dalla dottrina del gruppo e serve a fare dell’adepto uno schiavo laborioso e ubbidiente. In ogni caso, quando il pensiero viene controllato, anche le emozioni e i comportamenti sono posti sotto controllo.
Il controllo delle emozioni: mira a stravolgere e limitare la sfera dei sentimenti. Sensi di colpa e paura sono gli strumenti impiegati per tenere le persone sotto controllo. Il senso di colpa è forse la più importante leva emozionale capace di indurre conformismo e accondiscendenza.
Dal momento che la dottrina viene considerata perfetta così come il suo leader, di fronte a qualsiasi problema il seguace impara ad incolpare sempre se stesso ed è spinto a lavorare ancora di più. La maggior parte degli affiliati non è affatto consapevole che i sensi di colpa e le paure vengono usati al fine di controllarli, rispondono invece con gratitudine ogni qual volta un dirigente faccia loro notare una “mancanza”.
La paura indotta mira a tenere unito il gruppo e sostanzialmente è usata in due modi. Il primo è la creazione di un nemico esterno che ti perseguita: la sindrome dell’assedio. Il secondo sistema è terrorizzare il soggetto a fronte della possibilità di essere scoperto e punito dai capi. La paura di cosa potrà accadere se non fai il tuo dovere può essere terribile.
Per controllare qualcuno attraverso la sue emozioni e i suoi sentimenti è necessario procedere alla loro ridefinizione. La felicità, ad esempio, è una sensazione a cui tutti aspirano. Se la felicità viene definita essere vicini a Dio e se quest’ultimo ha costituito o scelto quel determinato gruppo per portare avanti i suoi propositi, ubbidire alle sue dottrine diventa il solo modo per avere l’approvazione di Dio e la sua vicinanza. In alcuni gruppi quindi, la felicità consiste semplicemente nell’eseguire le direttive dell’organizzazione, reclutando proseliti o facendo affluire nelle casse del culto quanto più denaro possibile. La felicità è definita come il senso di appartenenza alla comunità ed è riservata a coloro che rispettano i dettami del culto. Lealtà e devozione diventano quindi le qualità maggiormente valutate.
Molti gruppi esercitano un controllo completo sulle relazioni interpersonali. I capi possono dire ai membri chi devono frequentare e chi accuratamente evitare. Alcuni arrivano a indicare ai propri affiliati chi possono sposare e chi no, esercitando un controllo diretto sull’intero rapporto matrimoniale, vita sessuale inclusa.
Altra tecnica è cercare di cambiare il rapporto che l’adepto ha con il suo passato, presente e futuro. Il passato viene completamente “riscritto”, la memoria così distorta, rileggerà ogni episodio vissuto prima della sua affiliazione come negativo, perfino i ricordi più cari tenderanno a colorarsi di grigio. Anche la percezione del presente viene alterata, molti gruppi inducono a credere che la fine del mondo sia dietro l’angolo e che solo loro potranno essere salvati dal catastrofico evento. Per il cultista, il futuro viene percepito come il momento della riscossa, che giungerà col grande cambiamento finale, e il tempo della grande punizione.
Perennemente centrato nel “credo” nella sua mente non vi è posto per la teoria, o la valutazione critica della realtà. La dottrina è la realtà. Per l’adepto ogni mancato allineamento alla dottrina, ogni sentimento non conforme porta alla disapprovazione divina, è così che finisce col vivere in uno stretto tunnel fatto di paura, sensi di colpa e vergogna. Qualsiasi problema si presenti, la colpa ricade sempre su di lui, come conseguenza della sua scarsa fede. Vive in un continuo senso di colpa perché ovviamente non riesce mai a comportarsi secondo gli irraggiungibili standard richiesti e finisce col convincersi che il “maligno” lo stia perseguitando.
Il controllo dell’informazione. L’informazione è il carburante che usiamo per il buon funzionamento della mente: se viene negata l’informazione necessaria a formulare giudizi fondati, la persona non sarà più in grado di formarsi opinioni proprie. Negato l’accesso a informazioni di carattere critico, pian piano si atrofizzano i meccanismi interni che servono a elaborarle.
In molti culti abusanti le persone hanno un accesso limitato ai mezzi d’informazione che non siano di pertinenza del culto. Ciò è in parte dovuto al fatto che vengono tenute impegnate a tal punto da non avere il benché minimo tempo da dedicare ad altro. Tra i seguaci vige l’obbligo della delazione, devono quindi spiarsi a vicenda e riportare immediatamente ai leader attività improprie e commenti inopportuni. E, cosa più importante, viene tassativamente proibito loro di avere contatti con ex membri, arrivando a vietare anche il semplice saluto, poco importa ai leader se l’ex membro è un amico o un parente. Devono essere evitate soprattutto le persone che potrebbero fornire loro maggiori informazioni. Alcuni gruppi arrivano al punto di leggere le lettere e intercettare le telefonate.
Tanto è importante controllare l’informazione che le organizzazioni totalitarie coniano differenti livelli di “verità” così da creare dottrine “esterne” e “interne”. Il materiale esterno, relativamente innocuo, è riservato al pubblico e ai nuovi reclutati. Le dottrine interne, invece, vengono svelate solo gradualmente, mano a mano che la persona entra a far parte del culto.
E’ tipico che il nuovo membro venga assegnato ad attività di proselitismo appena ciò sarà possibile. Nulla consolida il credo di una persona così velocemente come il cercare di “vendere” le proprie convinzioni ad altri. Fare nuovi proseliti contribuisce a cristallizzare in fretta l’identità che il culto ha affidato all’individuo. Dopo che un novizio avrà passato abbastanza tempo con i membri più anziani, giunge anche per lui il momento in cui gli si potrà tranquillamente delegare l’istruzione dei nuovi arrivati. E’ così che la vittima diventa carnefice.
Fonte: Psicoterapia.it
Autore: Patrizia Santovecchi
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