La Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) potrebbe aiutare i pazienti affetti da Malattia di Alzheimer a contrastare una delle conseguenze più caratteristiche e precoci della patologia: la perdita di memoria.
A questa conclusione è giunto un gruppo di ricercatori della Fondazione Santa Lucia IRCCS, guidato dal dottor Giacomo Koch, che in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica NeuroImage ha rilevato un miglioramento del 20 percento della memoria in pazienti trattati con sessioni di rTMS.
Come funziona sulla memoria
Lo studio torna ad accendere i riflettori su uno strumento che da qualche anno si sta facendo largo nel trattamento di diversi deficit neurologici e che è già stato per esempio approvato dalla Food and Drug Administration statunitense per il trattamento delle forme di depressione resistenti ai farmaci.
Volendo stimolare la funzione della memoria, i ricercatori dell’IRCCS Santa Lucia sono andati ad agire su una particolare rete neurale, il default mode network. «È un’area collocata in una posizione centrale e relativamente profonda del cervello – spiega Marco Bozzali, Neurologo dell’IRCCS Santa Lucia ed esperto di Neuroimaging – altamente connessa con l’ippocampo, altra regione da sempre sotto forte osservazione quando si parla di malattia di Alzheimer e problemi di memoria».
Il default mode network influenza inoltre la nostra consapevolezza dell’ambiente e della situazione in cui ci troviamo in un determinato momento, ovvero quella capacità di essere presenti alle cose che pure va progressivamente deteriorandosi a causa della patologia.
Anche strumento diagnostico
«Studi internazionali stanno facendo emergere in modo sempre più chiaro – osserva il dottor Koch – che la stimolazione magnetica transcranica, quando viene applicata in modo continuativo, mostra effetti neuroriabilitativi anche nel trattamento di deficit neuromotori e cognitivi provocati da altre patologie, come l’ictus cerebrale e la sclerosi multipla. È utilizzata pure per il trattamento di disturbi di ansia, schizofrenia e malattia di Parkinson».
Accanto allo studio degli effetti neuroriabilitativi, il gruppo di ricerca dell’IRCCS Santa Lucia si sta concentrando sull’utilizzo della TMS come biomarcatore dell’Alzheimer, ovvero come strumento per rilevare in modo precoce segnali della malattia.
«Le due metodiche oggi più diffuse per la diagnosi – spiega Alessandro Martorana, dell’Università di Tor Vergata che ha collaborato al progetto – sono il prelievo del liquido cerebrospinale mediante ricovero e puntura lombare oppure l’esame con PET.
Entrambe servono a rilevare accumuli di beta-amiloide nel nostro sistema nervoso».
Sono però metodiche costose e la prima è anche invasiva.
La TMS potrebbe così rappresentare una buona alternativa a basso costo: «Mandando impulsi elettrici al cervello non in modo continuativo, ma isolato e puntuale – spiega Koch – posso fotografare il livello di connettività cerebrale della persona in base a precise informazioni neurofisiologiche e quindi rilevare scostamenti dalle funzioni cerebrali di un soggetto sano».
FONTE: CORRIERE DELLA SERA (Salute)